Ragazze bugiarde, drogate e soltanto in cerca di soldi. Sarebbero queste, ai suoi si occhi, le vittime del manager Antonio Di Fazio che, secondo i giudici della Corte d’Appello di Milano che lo hanno condannato in secondo grado a 9 anni, avrebbe continuato a denigrare le donne di cui ha abusato nella speranza di ottenere un giudizio più benevolo. Sì, perché il manager finito a processo per 6 episodi di violenza sessuale nei confronti di altrettante ragazze precedentemente narcotizzate, avrebbe soltanto finto di essere dispiaciuto. E "fino alla fine ha svolto una difesa mirante a denigrare le sue vittime", facendole passare per "disinvolte e pronte a vendersi, mentitrici, volontarie assuntrici di sostanze da sballo, assetate di profitti, occasioni di lavoro". Nelle motivazioni della sentenza dello scorso 5 giugno, la Corte sottolinea che "non c’è nulla di autentico nella sua contrizione", la quale "risulta piuttosto una scelta strategica" ai fini del processo.
Di fatto l’ex imprenditore farmaceutico "continua trattare le sue vittime come oggetti privi di morale e di dignità" e non avrebbe "affatto riconosciuto né la commissione di reati né il disvalore delle sue condotte".
Arrestato nel maggio del 2021, il 52enne in Appello è stato assolto dal reato di sequestro di persona nei confronti della studentessa che per prima aveva denunciato le violenze. È invece intervenuta la prescrizione per stalking, maltrattamenti e violenza sessuale ai danni dell’ex moglie, che si era costituita parte civile. Tuttavia secondo il collegio, i fatti "sono di particolare gravità e di singolare attuazione, rivelando una personalità criminale capace, determinata nell’attuazione delle proprie condotte e dotata di mezzi e strumenti idonei per la loro verificazioni". A quanto scrivono i giudici, infatti, Di Fazio sarebbe stato abile nel creare un "sistema criminale" per "far cadere nella sua rete numerose vittime", soprattutto "giovanissime donne irretite dalle sue promesse, dai suoi contatti, dalla esibizione delle sue possibilità economiche (vere o fasulle che fossero), dal suo patrimonio immobiliare, rassicurate dalla sua famiglia pronte ad accoglierle in un contesto apparentemente normale ma agiato e promettente".
In primo grado con il rito abbreviato, era stato condannato a 15 anni e mezzo perché il gup non aveva riconosciuto l’istituto giuridico del "vincolo di continuazione", applicato invece dai giudici di secondo grado.
Fed.Zan.