MARIANNA VAZZANA
Cronaca

Yuri Urizio strangolato in Darsena, l’amico: “Io, pugile in sua memoria insegnerò la non violenza”

L’idea dell’amico Nicholas Catalano: “Questo sport aiuta a gestire la rabbia e ad avere rispetto” La testimone: mi sono allontanata prima del raid. La mamma della vittima: “Sei il mio tutto”

Yuri Urizio

Milano – “Il mio amico Yuri è morto e io ancora non riesco ad accettarlo. Ma mi piacerebbe fare qualcosa in suo onore. È da due giorni che ci penso: voglio diventare un pugile e poi insegnare ai ragazzi più piccoli a gestire la rabbia rispettando sempre il prossimo. La mia sarà una missione contro la violenza, in memoria di Yuri. Mi darà lui la forza”. Nicholas, detto Niko, Catalano, 28 anni, da venerdì è in lutto. Da quando il suo amico Yuri Urizio, il ragazzo di 23 anni aggredito e strangolato in viale Gorizia la notte tra martedì e mercoledì, è morto nel reparto di Terapia intensiva al Policlinico dopo due giorni di agonia, vittima della furia omicida di Bilel Kobaa (o Bilel Cubaa con un altro alias), tunisino di 28 anni poi arrestato dalla polizia che ora dovrà rispondere di omicidio.

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Secondo la sua versione, è intervenuto per difendere una donna, «ucraina, che in zona chiede l’elemosina in cambio di cioccolata» alla quale Yuri avrebbe strappato di mano dei soldi. Una versione che al momento non ha riscontri sulla base delle immagini della telecamera in strada (che però non ha ripreso il momento decisivo) e che è ancora da accertare.

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Nel frattempo, la “donna misteriosa“ è stata individuata e ascoltata dalla polizia: avrebbe confermato di essersi fermata a parlare con il ragazzo, andandosene prima dell’aggressione e non facendo riferimento al presunto furto di monetine. Familiari e amici non credono al racconto di Kobaa.  «Cuore del mio cuore, vita mia», scrive su Facebook Giovanna, la mamma di Yuri. «E poi «il mio tutto», sopra la foto del figlio. «Nessuno di noi – continua l’amico Nicholas – crede sia successa una cosa del genere».

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Che idea si è fatto di questo agguato? 

«Dico solo che Yuri merita giustizia. Non meritava di essere ucciso come un cane. Era un ragazzo pieno di voglia di vivere, pronto a spaccare il mondo. Non dava fastidio a nessuno».

L’ultimo vostro contatto?

«Ci siamo scritti una settimana fa. Ci saremmo dovuti incontrare ieri (sabato per chi legge, ndr): «Io sto bene, tu lavori troppo fratm (mi chiamava così), sabato vengo a Milano e passiamo insieme una bella serata insieme». Purtroppo quel giorno non è mai arrivato, non siamo riusciti a vederci perché è morto il giorno prima: un dolore e un rimpianto che mi porterò nel petto tutta la vita. Il mio amico non è morto per un incidente, e già sarebbe stato doloroso così: è stato picchiato, strozzato e lasciato a terra come le bestie dal suo aggressore. Yuri per me sarà sempre un fratello, non dimenticherò mai il suo sorriso. Lui sarà la scintilla del mio cambiamento».

Quale cambiamento?

«Voglio focalizzarmi su un obiettivo: a ottobre inizierò a praticare la boxe per poi essere d’esempio per i ragazzi più piccoli di me. Lo sport è prima di tutto educazione e rispetto verso il prossimo e la boxe aiuta anche a pensare prima di agire e a saper gestire la rabbia. In onore di Yuri lavorerò contro la violenza».

Che cosa ricorda di Yuri?

«Ho un ricordo di quando facevo il cameriere in una piscina e lui veniva a trovarmi. Mentre servivo, lui mi teneva compagnia e questo bastava ad alleggerirmi il lavoro. Poi ricordo le serate trascorse a ballare, a Milano, e i nostri discorsi in macchina: stavamo seduti sui sedili a parlare anche per ore. Mi dispiace di aver perso le foto scattate con lui, perché erano sul mio vecchio telefono. Però rivivo ogni attimo nella mia testa, quando chiudo gli occhi e penso al mio amico Yuri. Adesso sono distrutto dal dolore ma c’è un pensiero che mi consola».

Quale?

«Ora può riabbracciare il suo papà, che ha perso quando era piccolo: finalmente possono raccontarsi quello che non si sono mai detti. Quaggiù sarà dura. Sono vicino alla mamma di Yuri, alla quale era molto legato, che per lui è stata anche un padre».