DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Ale e Franz tornano sul palco tra vecchi amici, Rettiliani e la nostalgia di una Milano che non c’è più

Un brindisi di Natale al Teatro Lirico con materiale inedito e il solito grande repertorio. “Sentiamo il bisogno di tenere vivo il ricordo di grandi artisti che ci hanno dato tanto come Enzo Jannacci”

Ale e Franz, al secolo Alessandro Besentini e Francesco Villa

Ale e Franz, al secolo Alessandro Besentini e Francesco Villa

Milano – Quella sensazione particolare. Che un po’ ti senti a casa, a tuo agio, fra vecchi amici. E un po’ c’è il friccico della novità. Di trovarsi di fronte a qualcosa ancora in grado di sorprenderti. Come certi amori. E allora sì, è già il quarto anno che si passano le feste con Ale e Franz. Ma conta poco. Perché tanto ci si ritroverà con mezza Milano al Teatro Lirico per “Il nuovo spettacolo di Natale”, da lunedì all’11 gennaio in via Larga. Materiali inediti e repertorio. Per un lavoro che si racconta nel titolo. Scritto da Francesco Villa e Alessandro Besentini insieme ad Antonio De Santis e al regista Alberto Ferrari.

Ale, cosa succede quest’anno al Lirico?

"È tutto nuovo. E sarà una festa. Non a caso passeranno tanti amici. Lunedì abbiamo Germano Lanzoni, il Milanese Imbruttito. Paolo Rossi sarà presente in diverse date ma ci saranno anche Enrico Bertolino, Raul Cremona, alcuni colleghi musicisti”.

Il pubblico vi vuole bene.

"Lo vediamo ed è bellissimo. Credo che il segreto sia stato il non avere mai abbandonato il teatro. Ce lo consigliò tempo fa un caro amico, dicendoci che potevamo permetterci di saltare al massimo una stagione, non di più. Così abbiamo fatto, aveva ragione".

Ma da quanto state insieme?

"Entriamo nel trentunesimo anno, ci puoi considerare una coppia anziana”.

Momenti di crisi?

"Si supera tutto. Anche perché siamo cresciuti uno a fianco dell’altro in quello che ci ha messo di fronte la vita. Di bello e di brutto. Aggiungici che gli obiettivi lavorativi sono sempre stati condivisi e puoi immaginare la solidità del rapporto che ci lega".

Primo incontro?

"Studiavamo al CTA di Milano, entrai nella compagnia amatoriale di Franz, un piccolo ruolo ma nel confronto sul palco funzionavamo già bene. La nostra insegnante e regista Paola Galassi ci consigliò di provare al Caffé Teatro, locale meraviglioso, un po’ alla Zelig, c’è ancora. Natalino Balasso stava infatti cercando qualcuno per un laboratorio domenicale e lì è cominciato tutto. Abbiamo scritto le prime cose, quello che sarebbe poi diventato il nostro spettacolo di debutto. E sai qual è la cosa incredibile?" 

Prego.

"Uno sketch nato in una di quelle fantomatiche domeniche l’abbiamo ora riproposto identico nella trasmissione Raiduo. Così com’era, senza toccare nulla. Ed è stato un successo. Mi piace molto questo aspetto della nostra comicità che riesce a funzionare nel tempo, senza appoggiarsi troppo sulla satira del presente".

Preferite quella di costume? 

"Sì, anche oggi. Al Lirico ad esempio parleremo dei complottisti, gente come i Rettiliani, che solo a pensarci mi viene da ridere”.

Cosa è successo a fine anni 90?

"È esploso tutto. Giornate molto forti. Un successo incredibile mentre esplodeva pure Zelig, anche grazie a noi. Ci siamo improvvisamente accorti di essere dentro qualcosa, di avere una posizione. Era cambiato tutto".

Vi capita mai di avere problemi sul palco?

"Spesso. Ti dimentichi qualcosa, devi trovare il modo di riprendere il filo. Ma inspiegabilmente anche quei momenti diventano delle occasioni di entusiasmo e di umanità con il pubblico. Comunque è nella natura dello spettacolo. Enzo Jannacci ripeteva che lui aveva due mestieri ma solo in uno gli era permesso di sbagliare. Ai medici è infatti richiesta una precisione un po’ diversa…".

Lui è sempre con voi.

"Sì, come le atmosfere di una certa comicità milanese. Siamo amici di Paolo Jannacci da una vita e abbiamo avuto la fortuna di conoscere e di avere la stima di Enzo. Qualcosa che ci fa sentire legittimati a continuare nel nostro percorso e a tenerli ben presenti davanti a noi. Sono artisti che ci hanno dato tantissimo. Io ci penso sul palco, sento il bisogno di tenere vivo il ricordo di Enzo e il suo patrimonio".

Un patrimonio però non solo artistico: Jannacci cantava di una Milano diversa.

"Mi spiace vedere come sta cambiando la città. Una volta era di tutti e per tutti. Senza andare troppo indietro, anche solo quindici anni fa. C’erano il cumenda e l’operaio. Ora invece per l’operaio le cose sono diventate difficili e in tanti si spostano fuori. Milano ha scelto di diventare una città per pochi".

Canzone del cuore?

"Amo molto ‘Parlare con i limoni’. Ma visto il periodo, il freddo, quello di cui stavamo ragionando, ti dico allora ‘El portava i scarp del tennis’, lo spaccato di una città sempre presente e dimenticato. Non è una canzone, è un grande film. Perché ogni volta mi sembra di vederla davanti ai miei occhi”.

Lei sotto sotto sembra sempre un po’ in cerca di qualcosa.

"Mi sa di sì. Devo capire esattamente di cosa, mica facile”.

È la quota irrequietezza del duo?

"Sicuramente corro, corro sempre. Perfino nelle giornate libere. E infatti poi mi fermo un attimo e mi dico: ma dove stai correndo?".