Milano – Tutto accade durante un pranzo di famiglia: l’autore – in perfetta sintonia con l’Io narrante – scopre che la nonna, quella che non ha mai conosciuto perché (sapeva) morta quando aveva due anni, è morta. E questa volta realmente. Un incipit che spiazza il lettore e lo accompagna alla lettura di “La geografia del danno“ di Andrea De Carlo (La Nave di Teseo, pagine 174, euro 18). Non è un romanzo ma un’indagine per ricostruire una storia di famiglia, quella dello scrittore, che non è mai stato interessato all’autobiografia, anzi nonostante il successo dei suoi libri, si è sempre tenuto lontano dai riflettori. De Carlo, nato nel 1952 a Milano, è autore di 23 romanzi tradotti in 26 Paesi.
È stato assistente alla regia di Fellini, co-sceneggiatore di Antonioni, con Ludovico Einaudi ha scritto due balletti «Time-Out» e «Salgari». Perché questa ricerca ossessiva di un passato?
«Mi affascina come gli eventi e le dinamiche collettive del passato abbiano determinato il presente in cui viviamo. È seguendo questa fascinazione che ho studiato la storia e mi sono laureato in Storia contemporanea. Eppure a lungo non ho provato molto interesse per la storia della mia famiglia, benché sapessi che conteneva personaggi misteriosi e avvenimenti mai rivelati».
E perché raccontarlo in «La geografia del danno»?
«A un certo punto ho sentito la necessità di dissipare la zona d’ombra che avvolgeva la mia nonna paterna Doralice, un’attrice cilena la cui esistenza mi era stata nascosta fino a che lei non è morta, quando io avevo ormai trent’anni. Nel farlo ho scoperto le vicende avventurose sue e dei suoi fratelli, e prima ancora quelle dei suoi genitori, miei bisnonni, che negli ultimi decenni dell’Ottocento avevano deciso di emigrare dal Piemonte al Cile, all’altra parte del mondo, con una traversata oceanica lunghissima e piena di pericoli mortali».
Continua a vivere parte del suo tempo a Milano. Cosa pensa di ricevere dalla città?
«Da bambino la detestavo, per la sua aria avvelenata, la mancanza di spazi verdi, il traffico, il grigiore di allora. Per questo appena ho potuto me ne sono andato altrove, negli Usa, in Australia, poi a Roma e in altri luoghi. Oggi passo a Milano solo pochi giorni all’anno, ma la trovo la meno provinciale delle città italiane, quella più in contatto con il resto del mondo, spesso all’avanguardia nella creazione di nuove tendenze. Non è un luogo facile, però offre una grande concentrazione di attività e talenti creativi a chi ci vive, e anche a chi la visita per breve tempo».
C’è un luogo in cui si rifugia?
«La zona dei Navigli, dove ho un appartamento, ha una densità straordinaria di bar e ristoranti che richiamano un flusso continuo di turisti e di milanesi attratti dalla varietà di locali e dall’aspetto pittoresco dei canali e degli edifici che li costeggiano. Eppure offre oasi di inaspettata tranquillità nelle sue corti interne in cui un tempo lavoravano gli artigiani, dove si può vivere al riparo dal rumore e dalla confusione».
Scrivere significa solitudine, a Milano non è facile trovarla.
«Paradossalmente sono proprio la dimensione della città e la moltitudine dei suoi abitanti a creare occasioni di solitudine. A Milano può capitare di incontrare una persona e poi di non rivederla per mesi o anni interi, o anche mai più. Se lo si vuole, è un luogo dove è facile scomparire, o starsene nascosti, immersi nelle proprie attività».
Vive tra Milano, la Liguria e Urbino. Cosa riceve da ognuno di questi luoghi?
«Milano è la città dove sono nato e cresciuto, dove ho studiato e coltivato le mie prime amicizie, e dove ancora ho amici, il mio editore e altri contatti importanti. La Liguria è dove passavo le lunghe vacanze estive dell’infanzia, e oggi è per me un luogo di luce, di mare, di clima dolce e orizzonti aperti. Nella campagna intorno a Urbino trovo l’isolamento di cui ho bisogno per concentrarmi nella scrittura, o anche per registrare le musiche e le voci per un podcast, come ho fatto con La geografia del danno».
Ha avuto riconoscimenti e successo come scrittore fin dagli esordi. Tornasse indietro cosa non rifarebbe?
«Con la consapevolezza di oggi probabilmente farei quasi tutto in modo diverso. Ma naturalmente non sarei più quello che sono adesso, e chissà chi sarei invece. Ogni vita è fatta di intuizioni e di successi, e anche di scelte sbagliate, decisioni affrettate, occasioni colte al volo e altre volate via veloci come treni. Preferisco non pensarci troppo, e immaginarmi invece cosa mi piacerebbe fare domani».