Milano – Comicità e tragicità. Riso e pianto. Bene e male. Opposti che inevitabilmente si scontrano ma che curiosamente si fondono con l’eclettico Carlo Pistarino. Sì, perché il brillante comico dalla battuta sempre pronta rivela il suo lato oscuro e inedito di scrittore di thriller con l’uscita di “Un selfie bello da morire”. Un viaggio nella mente e nell’anima di un assassino, il suo modo per riflettere sul drammatico tema della violenza contro le donne. La presentazione nella sede milanese dell’associazione City Angels, di cui è un recente testimonial, è stata anche l’occasione per raccontarsi tra aneddoti divertenti e serie riflessioni. Di origini a metà tra genovesi e piemontesi, Pistarino a 74 anni è anche alle prese con “il progetto più bello”, nonno del piccolo Tommaso.
Appassionato biker di Harley Davidson, è noto come comico dai tempi del “Drive-In”. Ha studiato per diventarlo?
“In verità non avevo tanta voglia di studiare. Vidi in un corridoio un manifesto della scuola alberghiera, durava solo 2 anni, così scelsi di frequentarla. Andai a lavorare all’estero, partii con il treno verso la Cornovaglia, destinazione Looe, una piccola località balneare vicino a Plymouth. Lì completai i miei studi. Ma non era la mia strada. Lavorai anche come vigile del fuoco ausiliario. Quando a 20 anni venne a mancare papà seguii le orme di famiglia. E diventai tranviere. Sui mezzi mi divertivo a fare molti scherzi ai passeggeri”.
La svolta per la carriera da comico, attore e autore televisivo fu casuale?
“Sì e la devo ai miei amici cui raccontavo sempre i miei scherzi. “Pista, ti abbiamo iscritto a un concorso di comici!”, mi dissero un giorno. Non volevo. “Noi ridiamo, noi siamo gente, quindi vai!”. Vinsi il “Gavettino d’oro” in un piccolo locale di Genova. Da lì iniziai a fare numerosi spettacoli”.
E si trovò ad un bivio professionale. Da qui la figura di quella che lei definisce una “grande donna”.
“Tra tranviere e comico iniziò a essere tutto molto impegnativo. Andai in cucina da mia moglie Irene e le dissi: “Non riesco più a gestire tutto, mi devo licenziare”. “Se molli adesso te ne pentiresti per tutta la vita”, mi rispose. “E se va male?”, “Se va male ci tireremo su le maniche e ricominceremo da capo”, mi rispose la grande donna con la quale ho festeggiato 50 anni di matrimonio. Ci amiamo come il primo giorno. La stella che mi ha sempre guidato e mi guiderà”.
E sono proprio le donne al centro del messaggio che vuole lanciare con il suo libro, con la speranza che questo mondo migliori. Qual è?
“Il libro è una forte denuncia della violenza verso le donne. Provo una forte rabbia verso questo tema. Ho voluto, inoltre, mettere in evidenza che il bene e il male stanno dentro di noi, sta a noi scegliere. Il protagonista ha scelto il male La sua mani: uccidere. Tutti siamo un po’ maniaci. C’è chi colleziona cose inutili, chi mette in ordine ogni cosa. E quindi chi è normale? Nessuno”.
Da dove nasce l’idea di scrivere un thriller?
“Dallo scrittore Donato Carrisi, il numero uno nel genere. Temevo di non esserne capace. “C’è solo un modo per scoprirlo, inizia a scriverlo”, mi disse e se lo diceva lui... E poi ho fatto lo spiritoso: “Signor Carrisi, Romina non è venuta? Ah no, era Al Bano quello…””.
Prefazione di Giorgio Panariello. Perché proprio lui?
“Ci lega un’amicizia trentennale, mi conosce nel profondo”.
In 5 mesi ha prodotto 166 pagine ambientate nella misteriosa ed esoterica Torino, con illustrazioni, fotografie e personaggi ispirati alla sua vita.
“Torino ispira molto: è la città delle sette... anche otto ormai! Ho trovato simpatico inserire immagini, si vede ciò che scrivo. Tra i personaggi c’è Stefania, che rimanda a mia figlia. Marco, al suo compagno. La zia Irene svela molto della mia Irene. Il cane Tyron si chiama come il mio. L’unico personaggio inventato è il commissario Giuffrida”.
Anche a questa nuova carriera è legato un momento simpatico?
“Il più recente. Ero in soffitta al buio a scrivere un passaggio cruento del mio libro alla sola luce di una piccola abat-jour. “È Pronto!”, urla mia moglie all’improvviso. Ho tirato una craniata alla trave che la ricordo ancora adesso”.
Il prossimo romanzo sarà ambientato in una Genova rosso sangue. Titolo “Il Falcone”. Cosa le trasmette la scrittura?
“È semplicemente così bello prendere carta e penna...”.
Il collega che ricorda con più affetto?
“Zuzzurro. Abbiamo fatto tanta Tv insieme. Una sitcom su Italia1, “Emilio”, tre spettacoli di teatro tra cui “Te Lo Ricordi Tu il Purè?”, alla fine del quale ci trovavamo fuori dal teatro con il pentolone di purè per tutti”.
Il suo libro preferito è “Cuore” di De Amicis. E il film?
“Amarcord di Fellini, lo so a memoria. Le dico una cosa, ma è triste. Quando sarà... (e accenna alla colonna sonora)”.