
L'architetto Carlo Ratti
Milano – Architetto Carlo Ratti, partiamo dal titolo di questa 19esima edizione della Mostra internazionale di Architettura da lei curata, organizzata dalla Biennale di Venezia, dal 10 maggio al 23 novembre. ‘Intelligens. Natural. Artificial. Collective’. Come far interagire queste intelligenze per migliorare la vita nelle nostre città, sul nostro pianeta?
“Quando si parla di intelligenza si pensa subito a qualcosa di molto ristretto. Invece ci sono molteplici intelligenze (Intelligens, contiene la parola latina gens “gente”) e l’invito è ad andare oltre l’Intelligenza Artificiale e le tecnologie digitali. Una molteplicità negli approcci che si rispecchia nel numero di partecipanti alla Biennale, oltre 750 fra architetti, ingegneri, matematici, agricoltori e scienziati del clima, filosofi, artisti, perfino cuochi”.
Mentre il clima diventa sempre meno clemente su tutto il pianeta, con gli incendi di Los Angeles, le inondazioni di Valencia e, per restare a casa nostra, le alluvioni in Emilia e Toscana, lei parla della necessità di “adattare” l’architettura, adattare il patrimonio edilizio delle città a un ambiente diventato ostile. Cosa intende? E come fare?
“Dobbiamo ripensare il modo in cui progettiamo. Non basta più mitigare, ridurre le emissioni. Sono profondamente sorpreso, quando vado in giro per l’Italia e in Europa e incontro sindaci che parlano ancora di pianificare la crescita delle città. Ma quale crescita se la popolazione sta diminuendo? Nell’era dell’adattamento l’architettura deve attingere a tutte le forme di intelligenza per migliorare il patrimonio costruito, adattarlo ai rischi, dagli incendi alle allunvioni e ai terremoti. Per cominciare dobbiamo pensare a non consumare più suolo”.
Sempre più frequenti le ondate di calore...
“Il 2024 ha segnato un momento critico, la Terra ha registrato le temperature più calde di sempre, spingendo le medie globali ben oltre il limite fissato di +1,5°C fissato dagli accordi di Parigi del 2016. L’architettura, che non può più calare dall’alto le soluzioni, chiama a raccolta le altre discipline, e ragiona sull’ambiente costruito. Resta l’unica speranza. Lo so, è una sfida, richiede un cambiamento radicale della nostra pratica. Ma non esiste un piano B e nemmeno un pianeta B, la Terra è il posto migliore dove l’umanità può continuare a vivere. La mostra culmina con una sezione, Out, che lancia un messaggio chiaro: l’esplorazione dello spazio non è una via di fuga ma un mezzo per migliorare la vita qui, nell’unica casa che conosciamo. Sarà una Biennale di sperimentazioni. Vedremo quali proposte saranno accolte meglio. Una delle città più fragili ed esposte ai cambiamenti climatici come Venezia sarà un laboratorio vivente da cui possono trarre spunti le città di tutto il mondo. Fra i tanti eventi collaterali, penso alla collaborazione fra la Norman Foster Foundation e la Porsche (Il progetto è intitolato “Gateway to Venice’s Waterways”, ndr), un’installazione che interconnette estetica, tecnologia e sviluppo urbano sostenibile”.
Il futuro è quindi delle città? E come vede lo sviluppo di MIlano?
“Le città sono delle splendide invenzioni perché ci permettono di fare insieme cose che altrimenti non potremmo fare. Ma non sono un fanatico della grande città. Quanto a Milano, nell’ultimo decennio è stata l’unica città italiana capace di sostenere un ruolo importante sulla scena mondiale. Premiata la sua capacità di essere una città laboratorio”.
Lei è il primo curatore italiano dopo 25 anni, l’ultimo è stato Massimiliano Fuksas.
“Ne sono orgoglioso. Posso dire che l’Italia sarà molto presente, con progetti (un omaggio a Italo Rota) e istituzioni”.
Come le piacerebbe venisse ricordata questa Biennale?
“Come un’edizione corale che chiama a raccolta per la prima volta saperi diversi e anche un pubblico di non specialisti”.