DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Cochi e la vita sconclusionata: “Ho un imprinting milanese e un principio: mai per soldi. Renato Pozzetto? Un fratello maggiore (di 6 mesi). Jannacci un riferimento”

Due spettacoli per l’attore, su se stesso e su Charlie Parker: è il mio amore per il jazz. “Ho rifiutato tanta tv senza rimpianti. Il teatro? Da bambino imitavo il prete”. Le radici meneghine: “Sono un milanese totale, che deriva dai miei genitori, milanesi da generazioni. Mio nonno era un cantante lirico, eseguì il ’Va, pensiero’ ai funerali di Verdi”

Cochi Ponzoni, con due colonne del cabaret milanese: Massimo Boldi (79 anni) ed Enzo Jannacci (1935-2013)

Cochi Ponzoni, con due colonne del cabaret milanese: Massimo Boldi (79 anni) ed Enzo Jannacci (1935-2013)

Milano – È uno di quei casi in cui basta il nome: Cochi. Come fosse un amico, un parente. Frammento di Milano e della vita di tanti. Che siamo un po’ tutti cresciuti qui col cabaret, la città degli artisti, il teatro e il risotto, ogni tanto al cinema sotto il Torracchione. Questa volta l’appuntamento è al Gerolamo di piazza Beccaria, dove Cochi arriva con due spettacoli: stasera “Charlie Parker: Bird lives!”, omaggio al grande sassofonista con l’Emilio Soana Quintet; domani alle 16 l’autobiografico “Diario di una vita sconclusionata”, insieme a Paolo Crespi.

Perché sconclusionata?

“La mia vita è stata all’insegna degli eventi inaspettati e dei percorsi inattesi, delle scelte fatte solo per istinto, inseguendo questa curiosità scatenata che mi caratterizza. Ho però tenuto fede a un paio di punti fermi: non mi è mai interessato dei soldi e non mi sono mai approfittato degli altri”.

Non sembra poco.

“Cerco di evitare i bilanci. Ma mi tengo stretto questo modo di vedere il mondo”.

Quando è stato contento di seguire il suo istinto?

“Finita Canzonissima io e Renato eravamo al culmine del successo nazionale. E in quel momento vennero a propormi di condurre da solo alcuni importanti programmi tv del sabato sera. Non le dico nemmeno le cifre che mi offrirono. Ma rifutai senza rimpianti. Non era nelle mie corde”.

La sua storia è anche la storia della città.

“Ho un profondissimo imprinting cittadino, che deriva dai miei genitori, milanesi da generazioni. Mio nonno era un cantante lirico, eseguì il ’Va, pensiero’ ai funerali di Verdi. Mio zio Carlo Ponzoni fece negli anni Trenta un importantissimo libro sulle chiese di Milano. Sono un milanese totale. Da bambino giocavo in via Vincenzo Foppa, ci passava l’Olona. Andavo sulle sponde del fiume con Pietro Montalbetti, mio compagno di classe, il chitarrista dei Dik Dik. Stavamo lì, correvamo dietro ai gatti randagi”.

A un certo punto però si trasferì a Roma.

“Me ne andai per il teatro, la prosa. Devo ammettere che non era male: abitavo in piazza Rondanini, cento metri dal Pantheon. Avevo Nanni Loy come vicino di casa, passavo il Natale con lui e Carlo Lizzani. Mi considero un fortunato”.

Il teatro il grande amore?

“Direi il mio sogno da bambino, fin da quando mi divertivo nella Compagnia Angelicum, non proprio uno Stabile. Ma ho capito che era qualcosa di più solo nel 1972, quando interpretammo “La conversazione continuamente interrotta” di Ennio Flaiano al Festival di Spoleto. Desideravo il teatro. Ma dovetti aspettare. Io e Renato avevamo un numero infinito di date. E poi arrivò il cinema”.

La volle Lattuada per “Cuore di cane”.

“Ma anche Dino Risi in “Telefoni bianchi”, Sordi, Monicelli. Ci sono stati poi i film con Renato,. Mi riportò sul palco Duilio Del Prete, un amico. Aveva una compagnia, ricominciai con lui”.

Quando si accorse che faceva ridere?

“Con le mie sorelle. Imitavo il prete, le sue prediche piene di tic. E loro si divertivano come matte”.

Renato?

“Mio fratello maggiore, di soli sei mesi. Il segreto è stata la nostra grande amicizia. Tutto è nato dalla semplice voglia di stare insieme, di divertirci. Il resto è arrivato dopo, un po’ per caso”.

Jannacci?

“Un punto di riferimento. Io e Renato in realtà eravamo un trio, c’era sempre Enzo con noi, perfino in tv. Fu lui a portarci alla RCA, diventando il nostro produttore discografico”.

È stato sottovalutato Cochi?

“Non credo, io per primo non mi sono mai valutato un granché. E se hanno raccontato qualche stupidata su di me, si vede che me la sono meritata”.

Risposta da signore. Ma ci sarà una qualità che si riconosce.

“Sono molto bravo con le lingue straniere”.

Detta così sembra uno sketch…

“No, no, è vero. Già da piccolo ne ero appassionato. Andavo con mio padre all’edicola di piazza della Scala perché solo lì tenevano i fumetti originali stranieri, che io mi sfogliavo, imparando l’inglese. Studiai poi il tedesco e il francese. Il primo lavoro fu a un desk di Linate. Se non ci fosse stato lo spettacolo, avrei voluto diventare interprete parlamentare”.

Non abbiamo ancora parlato di Charlie Parker.

“Mi pare un sogno poterne raccontare la storia alla mia età. Nasce tutto dal mio interesse per il jazz, lo ascoltavo da adolescente al Teatro Nuovo, di lunedì organizzavano queste serate con ospiti pazzeschi come Ella Fitzgerald, Chet Baker, Louis Armstrong. Un amore infantile cresciuto grazie alla vicinanza con Enzo Jannacci”.

Anche la vita di Bird è stata parecchio sconclusionata.

“Molto più della mia! Pensi che quando gli fecero l’autopsia, il medico scrisse che probabilmente si strattava di un uomo sui 65 anni. Ne aveva trenta di meno...”.