DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Edoardo Ferrario e i tic della società: “Perfino il benzinaio è sempre performante. Orologi e supercar? Il vero lusso è perdere tempo”

É stato il primo italiano ad avere il Comedy Special su Netflix e si esibisce agli Arcimboldi: “Ormai se non sei social, non esisti. E allora perfino il mio fornaio si è trasformato in uomo di spettacolo”

Edoardo Ferrario, 37 anni, primo italiano ad avere il Comedy Special su Netflix

Edoardo Ferrario, 37 anni, primo italiano ad avere il Comedy Special su Netflix

MILANO – É stato il primo italiano ad avere il Comedy Special su Netflix. Il suo personale spettacolo di stand-up. Informazione che non cambierà le nostre vite, d’accordo. Ma visto che si tratta del sogno erotico di chiunque abbia a che fare con la comicità, si capisce meglio il successo di Edoardo Ferrario, solo stasera per la quarta volta agli Arcimboldi con il suo “Performante”. One man show. Per ridere di questa contemporaneità stramba. Quindi di noi.

Edoardo, anche stasera si lascia ispirare dall’inesauribile presente.

“È così. Mi piace ridere dell’attualità, provando a stare lontano dalla cronaca. D’altronde viviamo un’epoca che offre dei macrotemi: dalla paura dell’IA, alla facilità con cui ci offendiamo per qualsiasi cosa. Io mi concentro molto sui social che ci hanno portato a spettacolarizzare ogni aspetto della nostra vita, a essere perennemente in uno stato di performance. Perfino il mio benzinaio”.

Che ha fatto?

“Lavora dietro casa mia e fino a poco fa era un semplice benzinaio. Ma da un giorno all’altro è diventato un seguitissimo tik tok creator. E non pensare sia l’unico. Pure il fornaio e tanti altri. Perché sei spinto ad aprire i tuoi profili per aumentare il business, trasformandoti subito in un personaggio dello spettacolo, senza però un percorso alle spalle o la consapevolezza dei rischi. Io certo preferirei che il panettiere facesse pizze buone”.

Ma che video propone il benzinaio?

“Non sono neanche male. Scherza sulle richieste pazze che gli fanno i clienti, perché quando poi sei a contatto col pubblico te ne capitano d’ogni. È buffo”.

Come se la cava con il concetto di performance?

“Amo perdere tempo e sono lento a fare le cose. Stile di vita minacciato dagli impegni lavorativi, infatti continuo a raccontare bugie per staccare un attimo. Tutti ostentano orologi e supercar ma in realtà il vero lusso oggi è perdere tempo e io sono capace di passeggiare due ore col cane o di attaccar bottone col ferramenta, mentre compro due chiodi. Detto questo, qualche mese fa mi è nato un figlio che può essere considerato l’antidoto assoluto a qualsiasi pigrizia. Mi ha rivoluzionato la vita”.

Sul palco se la prende con i professionisti dell’offesa.

“Già, perché indignarsi è diventato un mestiere. Si attivano a comando, fanno a gara nel mostrarsi più offesi di quello a fianco, cercano di dare un buon motivo per seguire loro e non un altro. Qualcuno pensa pure di fare attivismo pubblico, ma a me sembrano gesti egoistici, di pura autorappresentazione. Chi fa vero attivismo si muove silenziosamente, nell’ombra, supportando gruppi e associazioni. Mica macinando post...”.

Quando si è accorto di far ridere?

“Sono sempre stato affascinato dai comici, mi sembravano maghi che non ti lasciavano con la sorpresa, ma con una risata. A scuola imitavo i professori e mi guardavo in giro. Credo di essere un osservatore più che un performer. Poi nel 2012, a 24 anni, Sabina Guzzanti mi chiese se volessi partecipare al suo “Un due tre stella!“, in diretta e in prima serata su La7. Un sogno ad occhi aperti, mentre mi stavo laureando in Giurisprudenza”.

Qual è il contesto in cui lavora meglio?

“Amo il teatro, l’essere al centro di tutto, con il pubblico che cambia ogni 50 km. Ma grazie alla Gialappa’s ho fatto pace con la televisione. Il loro show è bellissimo, di alta qualità, impossibile non divertirsi. Anche in LOL sono stato bene, non sapevo come ne sarei uscito ma alla fine ero rilassato, circondato da un ottimo cast”.

Iniziano a chiamarla come attore.

“Sì, ho fatto la serie tv sugli 883, mi ha voluto il regista Sydney Sibilia per interpretare il loro produttore. Era la prima volta che mi trovavo su un set con tipo 120 persone, l’impatto ti spaventa un attimo. Poi è andata molto, molto bene”.

Cosa la fa sempre ridere?

“Le persone che si prendono sul serio, senza rendersi conto di quanto siano ridicole. Quelli che dicono frasi come “se permetti, un po’ di tv l’ho fatta“ oppure “se permetti, qualche donna l’ho avuta“. I miei personaggi si alimentano di questa cecità. Per il resto si può e si deve ridere di tutto, si parla di sguardi, di opinioni, sarebbe come se qualcuno ti dicesse che come giornalista puoi scrivere di qualcosa e non di altro. Se poi non fa ridere, vuol dire che non l’hai scritta bene. Non mi piace la pigrizia nella scrittura”.

Senta, ma quelle alette di pollo da Cattelan in Hot Ones sono davvero piccanti?

“Devastanti. E ti risparmio i racconti della notte successiva. Più che altro c’è da salvare Cattelan: io mi sono bruciato partecipando a una sola puntata, lui ne avrà già fatte una ventina. Parliamo quindi di un conduttore parecchio coraggioso”.