ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Elio (senza le Storie Tese) ride ma non troppo: “Il rap? Non è musica. E che umiliazione l’autotune anche a Sanremo”

Stefano “Elio” Belisari agli Arcimboldi con lo spettacolo “Quando un musicista ride”: “La musica di oggi non è peggiore di quella di prima, la musica di oggi non esiste”

Stefano Belisari, in arte Elio, 63 anni

Stefano Belisari, in arte Elio, 63 anni

Milano – “Sulla carta questo spettacolo era più complicato di quello su Jannacci, ma sono un amante del rischio e ho voluto provarci” ammette Stefano Belisari, pardon Elio (senza Storie Tese) parlando di “Quando un musicista ride”, lo show sui mondi della canzone milanese che replica agli Arcimboldi domani e venerdì. “Il predecessore ‘Ci vuole orecchio’ era nato da una mia pressante richiesta al regista Giorgio Gallione; m’aspettavo 20-30 repliche e invece siamo andati avanti tre anni, con otto esauriti al Teatro Lirico. Avrei proseguito volentieri con quello, ma è arrivata la richiesta di realizzarne un altro e mi sono reso conto che valeva la pena tentare. ‘Quando un musicista ride’ è nato da questa esigenza”.

Tutto parte, comunque, ancora una volta da Jannacci.

“Bé, Milano è quella cosa lì. Allargando il cerchio, però, stavolta con Gallione ci abbiamo messo dentro pure Cochi e Renato, Giorgio Gaber, Dario Fo, I Gufi, quel pazzo scatenato di Clem Sacco. Questo perché il livello di follia in ‘Quando un musicista ride’ è un po’ più alto che nell’altro spettacolo”.

E il pubblico come la prende?

“All’inizio è rimasto un po’ scioccato, mentre ora che abbiamo aggiustato un po’ il tiro, risponde bene e da un mese abbondante a questa parte inanelliamo un trionfo dietro l’altro, a Firenze come a Bari o a Bitonto. A Rende, nel cosentino, il successo è stato pazzesco”.

Cos’ha corretto?

“Alcune cose qua e là. ‘Il foruncolo’ di Jannacci, ad esempio, che ci ho messo un po’ a capire come farla, perché all’inizio m’ero arreso anch’io alla sua manifesta assurdità. Ora fa ridere davvero. Sembra un pezzo di Elio e le Storie Tese, tant’è che ogni tanto c’è chi mi chiede se è mia”.

Inizialmente avevate pensato ad uno spettacolo tutto su Cochi e Renato.

“Già, ma riproporre il loro repertorio oggi è complicato. All’interno di ‘Quando un musicista ride’ abbiamo messo qualche parlato della coppia Ponzoni- Pozzetto, ma è teatro dell’assurdo e la gente che negli anni Settanta era pronta ad ascoltare certe cose oggi le recepisce come se stesse ascoltando un marziano. Avevamo pensato di mettere pure cose di Felice Andreasi, che però era già considerato un marziano al tempo, figurarsi oggi. Chissà forse questo è lo spettacolo intermedio necessario per arrivare poi a quel tipo di comicità di Cochi e Renato. Lo spero tanto, perché loro stanno nell’Olimpo dei miei idoli assoluti assieme ad Enzo Jannacci, Frank Zappa e Johann Sebastian Bach”.

Visto il repertorio, c’è differenza tra come lo spettacolo viene fruito in regione e altrove? “Un po’ sì, ma è naturale. Un po’ come avviene alla musica partenopea dentro e fuori Napoli. Portare questo repertorio al Petruzzelli non è come farlo agli Arcimboldi. Eppure, lì, a Bari, mi sono trovato davanti una platea di bambini entusiasti. I bambini rappresentano da sempre il mio pubblico preferito, perché non hanno preconcetti, sono aperti a qualunque cosa, e se si annoiano non te lo nascondono di certo. Ecco perché sentirli ridere mi dà grandissimo incoraggiamento”.

Stiamo parlando di canzoni che hanno cinquanta, sessant’anni…

“Ce n’è una di Gaber, ‘Benzina e cerini’ che è addirittura del ’61. La reazione di smarrimento quando faccio ‘Cos’è la vita’ o ‘La gallina’ evidenzia che il pubblico s’è disabituato a certe forme di libertà assoluta. Siccome in un angolino della mia testa ho sempre la speranza che quel che porto sul palco possa essere di stimolo per qualcuno, mi chiedo se almeno uno spettatore sia stato sfiorato dal pensiero che in questi cinquant’anni, invece di andare avanti, siamo andati indietro”.

Era meglio ai miei tempi…

“Ogni tanto me lo domando: non è che faccio come mio nonno quando parlava della musica dei suoi tempi? Però, se faccio un controllo di qualità, chiamiamolo così, mi rendo conto che tra ieri e oggi non c’è paragone. Visto che il rock di oggi o sì rifà al rock degli anni 70 o è proprio quello, la domanda che sorge spontanea è: cos’è stato inventato? Nulla. La musica di oggi non è peggiore di quella di prima, la musica di oggi non esiste”.

E il rap?

“Non per fare ancora il nonno, ma quella non è musica. Piuttosto un assemblaggio, nel 90% dei casi, di roba preesistente fatta da gente che non sa suonare. Di recente un produttore molto affermato alla domanda ‘cosa suoni’ m’ha risposto: ‘mi vergogno un po’ ad ammetterlo, ma non suono niente’. Questo è lo stato dell’arte. Ora mi lascio andare completamente e dico che la mia umiliazione massima è stata ascoltare la canzone vincitrice di Sanremo cantata con l’autotune. Ma di cosa stiamo parlando?”.

E in questo contesto lei come si sente?

“Non mi sento come mio nonno, ma come Verdi, che ad ottant’anni suonati ha scritto forse è la sua opera migliore, ‘Falstaff’. Insomma, mi sento un signore della terza età con la forza di spaccare che vorrebbe vedere dei ventenni spaccare invece di andare in giro a cantare con l’autotune. Sia chiaro che non è tutto così, visto che sul palco con me ci sono dei ventenni che suonano come dei draghi”.

Dopo questo tour cosa l’attende?

“Il Concertozzo di Elio e Le Storie Tese, il 4 e 5 luglio al Parco Ragazzi del ‘99 di Bassano del Grappa. È la quarta edizione, ogni anno abbiamo fatto un passetto avanti sulla strada dell’inclusione dei ragazzi autistici nella realizzazione dell’evento e intendiamo farne un altro”.