ANNA MANGIAROTTI
Cultura e Spettacoli

Elisabetta Sgarbi: “Mamma mi vedeva farmacista, io volevo lavorare nel mondo dei libri. Rifiutavo Milano, ora la amo”

L’editrice e regista cinematografica si racconta: “Ero molto legata a Ro Ferrarese, il lavoro è la chiave per scoprire la bellezza della metropoli”. E sui figli: non li ho avuti, basta colpevolizzare le scelte delle donne

Elisabetta Sgarbi

Elisabetta Sgarbi

Milano – incontrare Elisabetta Sgarbi nella nuova Milano riflettente e risplendente – il Business District Varesine, all’angolo con viale della Liberazione e Gioia, tra le torri più alte d’Italia – facilita una riflessione sulla metamorfosi sociologica e urbana: la Milano che sale va nella giusta direzione? Editrice (La nave di Teseo), regista (ultimo film: “L’Isola degli Idealisti“), anima della Milanesiana (una delle sue creature letterarie), poi promotrice di mostre (la personale di “Franco Matticchio. Qualche volta” al Volvo Studio). Una biografia difficilissima da contenere in poche righe: 68 anni vissuti appassionatamente.

Questa rigenerazione verso il cielo l’attrae?

“A me i grattacieli non dispiacciono, soprattutto visti dal basso. Ma anche lo spuntare del Pirelli negli anni Cinquanta immagino abbia destato proteste”.

Troppi grattacieli, contestano, e poco radicati alla base.

“Sono le nuove cattedrali: che siano meno belli i grattacieli delle cattedrali dipende dalla nostra volubilità (per usare un termine neutro) estetica”.

Ha promosso la mostra di “umanimali”, ovvero?

“Ho portato al Volvo Studio, dove non si vendono automobili ma si fa cultura, le illustrazioni di Franco Matticchio: animali più umani di noi, perché ci guardano e ci imitano, magari con una perspicacia e una percezione maggiore”.

Di fronte c’è il Bosco Verticale, definita “casa per gli alberi che ospita anche gli umani”.

“E qui di Matticchio vediamo anche le tavole ispirate a “il richiamo della foresta nera“. In mostra, pure il manifesto da lui disegnato per JazzMi: su un pianoforte a coda, le icone architettoniche di Milano”.

Nella composizione, un cagnolino è portato al guinzaglio. In centro città, ormai, girano più cani (persino in carrozzina) che bambini.

“In un’intervista mi dissi pentita della scelta di non avere figli. Però, smettiamola anche con questa colpevolizzazione di chi non ha figli”.

Di scelte, infatti, si tratta.

“Che una donna fa nel pieno diritto di farle. Se siamo preoccupati del declino demografico, ci sono milioni di persone che vorrebbero venire in Italia a vivere e lavorare, anche più brave e preparate di noi. Basta accoglierle”.

Era diversa Milano quando vi arrivò la prima volta?

“Non volevo venirci, non volevo lasciare la mia casa a Ro Ferrarese. Ma ho imparato ad amare Milano lavorandoci. Questo è un aspetto molto particolare di Milano: impegnandoti nel tuo lavoro, è come se ricevessi una chiave per entrare nella sua bellezza”.

Andava almeno a ballare o (a giudicare dalla simpatia per gli Extraliscio), il suo cuore batteva per il punk romagnolo?

“Non ho mai molto frequentato la vita notturna di Milano, confesso”.

Dunque, lavoro, solo lavoro...

“Ho sempre e solo lavorato nell’editoria, dopo l’esperienza in farmacia. La mia mamma aveva vinto a concorso una farmacia a Milano, o meglio a Cologno Monzese, e mi chiese se volevo prenderne la titolarità. No, volevo lavorare nel mondo dei libri. E lei la vendette”.

Poteva permettersi un giovane, allora, di pagare l’affitto di un bilocale?

“Io ho iniziato a vivere in affitto in via Lomellina, poi tanti anni fa ho comprato la casa dove vivo”.

La Milanesiana, basta la parola. Ma per riassumerla in una parola? O in un momento significativo?

“No, non vorrei isolare nulla, ma abbracciare con un solo pensiero tutti quanti hanno lavorato con passione e entusiasmo con me, tutti gli ospiti del Festival, di tutti questi 25 anni”

Il sindaco Beppe Sala loda il paradosso: la Milanesiana è locale nel nome, internazionale nel format.

“La sua stessa amministrazione ha fatto diventare la piccola Milano una metropoli internazionale”.

Tra gli scrittori stranieri portati qui, chi si è innamorato di Milano come Stendhal?

“John Coetzee, credo. Lui (sudafricano naturalizzato australiano, Nobel 2003 ndr) ama molto Milano. E Milano, sembra strano, ama le persone riservate”.

Milano riconosciuta capitale della cultura. Arriva in periferia o ai disoccupati dell’hinterland?

“La proposta culturale è di straordinaria densità, ovunque. Vedi le iniziative di Bookcity, la presenza delle librerie di quartiere e delle biblioteche civiche, i libri venduti in rapporto alle altre città italiane, la quantità e qualità degli spettacoli teatrali, dei concerti”.

Segnale positivo in un’Europa al tramonto?

“Milano è un piccolo grande miracolo. Tale la rendono la sua energia, l’apertura al mondo, la capacità di produrre e inebriarsi nella moltitudine delle cose belle che crea... Poi, quando io sono stanca, ho la fortuna di poter tornare nella casa dei miei genitori a Ro Ferrarese, nella solitudine del fiume”.