Quarant’anni più iva. E per gli Europe, come per tanti altri gruppi in vena di celebrazioni, l’imposta sul valore aggiunto è stato il Covid che, bloccando i concerti, li ha costretti a festeggiarsi fuori tempo massimo. È il caso del Time Capsule Tour degli Europe, che vede la band svedese in scena domani agli Arcimboldi per l’unica tappa italiana delle 18 pianificate in tutta Europa.
Dopo il tour dell’anno scorso con i Whitesnake e quello nei festival dei mesi scorsi, per John Leven, Mic Michaeli, Ian Haugland, John Norum e Joey Tempest è arrivato il momento di omaggiare i loro quattro decenni di carriera. L’ultimo album “Walk the earth” è del 2017, ma il successore uscirà solo il prossimo anno perché "anche se siamo amici dall’adolescenza, prima di ogni nuovo progetto dobbiamo riconnetterci un po’ e abbiamo capito che dovevamo dare la priorità al tour e al docufilm realizzato per l’anniversario", spiega Tempest, al secolo Rolf Magnus Joakim Larsson, sessant’anni compiuti il mese scorso. “Walk The Earth” è l’undicesimo album degli Europe "non tantissimi, ma giusti, tenuto conto dei sei anni di separazione tra il ’93 e il ’99; ne abbiamo incisi cinque nella nostra prima fase e sei album in questa nuova era". A cambiargli la vita è stata, ovviamente, “The final countdown” in vetta delle classifiche di 25 Paesi in quel 1986 protetto dal dio del rock scandinavo.
«Fu una vera sorpresa per noi ragazzi venuti dalla periferia di Stoccolma", ricorda il frontman. "Avevamo inciso due album, e già il secondo ‘Wings of tomorrow’ ci aveva dato la sensazione che saremmo andati lontano, ma è stato l’arrivo di ‘The final countdown’ a regalarci le copertine delle riviste per ragazzi di tutto il mondo. All’inizio il mio riferimento era Robert Plant e come rock band avremmo tanto voluto assomigliare ai Deep Purple, ma ci ritrovammo in competizione sui media con Bon Jovi, Def Leppard ed altri campioni del cosiddetto ‘Hair metal’, più per via dei capelli che per altro. In realtà non c’era rivalità tra noi e per un po’ l’abbiamo presa come una seccatura, ma siamo svedesi e quindi gente abituata a lavorare duro e senza lamentarsi". Quarant’anni senza andare fuori tempo, come capita invece ad alcune cover dell’impegnativa “The final countdown” a cominciare da quella disastrosa dei (giustamente) sconosciuti Deep Sunshine da anni sul web. "Potendo dare un consiglio al Joy diciottenne degli esordi gli direi di rilassarsi un po’ e magari abbassare la tonalità di qualche canzone", ammette Tempest-Larsson. "Perché le abbia incise così alte non me lo so spiegare, anche se difficilmente avrei potuto immaginare di doverle cantarle per i successivi quarant’anni".