SILVIO DANESE
Cultura e Spettacoli

"Anni amari": nella pellicola rivive Mario Mieli, studente gay e ribelle

Il film è il biopic di Andrea Adriatico dedicato all’attivista e intellettuale morto suicida nel 1983

Il film "anni amari" è dedicato a Mario Mieli

Milano, 6 marzo 2020 - C’era una volta la rivolta, la lotta per i diritti civili, le manifestazioni "studenti operai uniti nella lotta", il femminismo. C’era una volta il Collettivo Omosessuali Milanesi. Anni difficili, anni formidabili, "Anni amari", titolo del quarto lungometraggio di Andrea Adriatico dedicato a Mario Mieli (Nicola Di Benedetto), attivista, intellettuale, teorico degli studi di genere ("Elementi di critica omessuale", da Einaudi) e fondatore del Collettivo, amico e complice di Ivan Cattaneo, Fernanda Pivano, del poeta Milo De Angelis, dell’architetto Corrado Levi. Studente borghese ribelle del classico Parini quando omosessualità era sinonimo di disturbo mentale o depravazione, Mieli morì suicida nel 1983, gesto di opposizione a un passaggio considerato "la fine di un sogno". È un biopic che non fa sconti, come si dice: dal rapporto conflittuale con padre (Antonio Catania) e madre (Sandra Ceccarelli) alla vita notturna sfrenata nella "Fossa dei Leoni" a parco Sempione e nei locali gay all’incontro fondamentale, a Londra, con l’attivismo inglese del Gay Liberation Front (in sala dal 12).

Adriatico, perché anni amari?

"Ho preso il titolo dalla canzone di Pino Daniele del 1980 che dice: ‘Voglio di più/ di quello che vedi/ voglio di più/ di questi anni amari’, perché per me, come per Mieli, quell’anno è stato cruciale. Avevo vissuto, da ragazzino, nelle feste in casa dei miei genitori frequentate da persone con abiti colorati e parrucche allegre, anni di gioia. Poi tutto è finito e ci siamo trovati nell’incubo del Hiv. Del movimento ‘77 mi aveva colpito la ricerca per ‘il diritto alla felicità permanente’. Ma come diceva Mieli si andava a caccia del benessere, che non è la stessa cosa della felicità".

Perché un film su un personaggio forse dimenticato?

"Appunto. Dalle aule del Parini al suo impegno militante, dai salotti borghesi ai programmi tv, stiamo parlando di una figura alla base di una rivoluzione storica di liberazione".

Come lo racconta?

"Ho seguito a fondo la sua biografia. Per contestare le categorie di genere vestiva quasi sempre al femminile. Mieli non si fermò mai. Nel 1972 riuscì a entrare e scompigliare un convegno europeo di psicanalisti sul tema: l’omossessualità è o non è una malattia? Nel 1976 scrisse per Ivan Cattaneo una canzone che portarono al concerto dei giovani proletari al Parco Lambro e davanti a quella platea ‘rivoluzionaria’ si trovò a difendere il diritto gay. Alla fine degli anni ‘70, ormai celebre, per la Rai andò davanti ai cancelli dell’Alfa Romeo di Arese a parlare di omossessualità con gli operai, un documento che ricorda i ‘Comizi d’amore’ di Pasolini. Abbiamo ricostruito tutto nei luoghi originali".

Poi?

"Poi non riuscì a resistere al nuovo mondo. Scrisse un romanzo spietato sulla sua famiglia trasposto nell’antico Egitto, ‘Il risveglio dei faraoni’. Lo stava pubblicando Einaudi, la famiglia riuscì a bloccarlo e lui stracciò il contratto. Pochi giorni dopo si suicidò".

Che cosa significa per lei questo film?

"Rispondo dicendo che la felicità è che ha passato il visto di censura, dunque lo possono vedere tutti. Le cose sono cambiate. Vorremmo dirlo a Mario".