SIMONA BALLATORE
Cultura e Spettacoli

Gianni Canova: “Le mie 44 mostre di Venezia dal campeggio di Mestre alla scoperta dei talenti”

Prima volta da presidente di giuria per il rettore della Iulm, pioniere tra studiosi e critici “Il Lido è il luogo dell’eterno ritorno. Fase di grande trasformazione, cerchiamo visioni di futuro”

Giovanni Canova con la moglie Silvana Annicchiarico a Venezia

Giovanni Canova con la moglie Silvana Annicchiarico a Venezia

L’annuncio il 20 luglio: “Gianni Canova sarà i presidente della Giuria Opera Prima “Luigi De Laurentiis” all’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia”. Una notizia. Perché è il primo studioso e storico del cinema a ricoprire questo incarico. Critico cinematografico e rettore della Iulm, è autore e conduttore del programma Tivù “Il Cinemaniaco“ su Sky Cinema ed è presidente del Comitato scientifico del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. In giuria con lui ci sono lo sceneggiatore e regista americano Ricky D’Ambrose, la regista, artista visuale, attrice e produttrice brasiliana Barbara Paz, l’attrice e regista canadese Taylor Russell e il curatore di festival e direttore di mercati cinematografici Jacob Wong. Tra le sue storiche battaglie l’introduzione del cinema e dell’educazione all’immagine multimediale nei programmi scolastici, sin falle primarie. “Siamo il Paese con il più alto tasso di analfabetismo iconico in tutto l’Occidente”, ricorda, mentre continua a impegnarsi nella formazione e a proporre corsi aperti alla città.

«Cantiere aperto, luce sulla laguna: è il luogo dell’eterno ritorno, dove tutto è uguale ma ogni volta diverso». Gianni Canova risponde da Venezia, regalando questa immagine e uno sguardo sul cinema che verrà. Critico cinematografico, saggista, curatore di mostre e rettore dell’università Iulm, è il primo studioso e storico del cinema a ricoprire la carica di presidente di giuria alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. A lui il compito di guidare la giuria internazionale Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis“. «Un’innovazione importante che la Mostra del cinema di Venezia ha introdotto per la prima volta, non esistendo precedenti di presidenti di giuria che non siano sceneggiatori, registi, attori», sottolinea.

Un segnale?

«Forte. Ricorda che il cinema è fatto sì da coloro che lo dirigono, lo scrivono, lo interpretano, lo “fanno“, ma anche da chi sviluppa discorsi sociali, riflessioni e dibattiti attorno al cinema. Un segnale che onora non solo me, ma tutti coloro che fanno il mio mestiere».

Anche tra i giudici ci sono rari precedenti.

«Nelle giurie del premio Opera Prima ci sono stati solo due studiosi. E parliamo di Morando Morandini, che fu critico anche de Il Giorno, e Francesco Casetti, professore prima all’università Cattolica e poi a Yale».

Da Venezia, guardando anche oltre Venezia, dove sta andando il cinema? In che fase siamo?

«In una fase di grande trasformazione. Lo scorso anno il Festival di Venezia è cominciato nel bel mezzo dello sciopero degli sceneggiatori. C’è lo spettro dell’intelligenza artificiale sopra di noi. Che offre opportunità o minacce, non si sa ancora bene. Stiamo andando poi verso una ludicizzazione del cinema, come un grande giocattolo, verso una gamificazione. Ma anche verso un cinema concettuale, più filosofico. Ci sono tante piste aperte. Per questo sono contento di occuparmi della giuria che darà il premio per la miglior opera prima».

Una bella responsabilità.

«Sì. Non solo perché il primo premio è in denaro e dal valore di 100mila dollari, che non è poco per la prima regia... ma perché mentre le altre giurie analizzeranno la cartografia del presente, quella che ho l’onore di guidare io ha il compito di guardare le prospettive, le visioni di futuro. E di individuare talenti».

Che spesso si sono fatti conoscere proprio lì, a Venezia.

«Sì. In passato hanno vinto questo premio talenti veri. Il regista di La vita di Adele (La Vie d’Adèle), Abdellatif Kechiche, ha iniziato vincendo il Leone all’Opera prima con Tutta colpa di Voltaire. Due anni fa ha vinto Alice Diop con Saint Omer. Tra i premiati Gianni Di Gregorio, nel 2008, con il suo esordio alla regia, Pranzo di ferragosto. Ci sono precedenti importanti ed è nostra responsabilità trovare talenti che si affermino e lascino una traccia».

Il cinema italiano come sta?

«Sulla carta sta bene. Ci sono parecchi film italiani in concorso, alcuni di grandi maestri - come Gianni Amelio - o di giovani promettenti, come Maura Delpero. Venezia è anche l’occasione per fare il punto pensando all’anno appena trascorso, non dimentichiamo che Io capitano era stato presentato in anteprima qui».

E qual è lo stato di salute delle sale?

«Il ritorno in massa si è visto l’anno scorso, grazie a Barbie e Oppenheimer. Quest’anno con Inside Out 2, Alien: Romulus, Deadpool & Wolverine. Io ho la sensazione che il pubblico torni in sala quando il prodotto merita di essere visto in sala. Se è la solita commedia, con tutti primi piani, preferiscono guardarla sul divano di casa ma quando i film dispiegano la loro forza visiva, cromatica, registica e sono visionari il pubblico lo sente e vuole vederli in sala, partecipare».

C’è un fortissimo ritorno anche del documentario. Quali sono i motivi, secondo lei?

«Perché è uno strumento di indagine e conoscenza della realtà che, se ben fatto, trasforma in racconto e narrazione lo sfilacciamento della cronaca e dei telegiornali. Siamo subissati da informazioni che bruciano le emozioni del momento e non impongono di collegare le cause con gli effetti, il prima e il dopo. Il documentario non ti dà un’informazione spicciola, ma estesa, ti permette di capire le cause e le conseguenze dei fenomeni».

Venezia 81, con lo sguardo al futuro. Ma riavvolgendo il nastro, qual è l’edizione per lei indimenticabile?

«Vengo al Lido da fine agosto a fine settembre ininterrottamente dal 1980, non ho mai mancato un’edizione: 44 anni, una vita qui. La più memorabile è la prima: 1980, direttore Carlo Lizzani. Riparte il Leone d’Oro abolito negli anni Settanta dopo le contestazioni del ’68. Ero giovane, senza una lira. Eravamo in quattro: uno è diventato un famoso regista, uno un famoso giornalista e uno l’abbiamo perso per strada. Stavamo in campeggio a Mestre, pioveva sempre. Due ore di viaggio ogni giorno per il Festival: ero riuscito ad ottenere l’accredito grazie a una radio libera di quegli anni, sgrausa. Indimenticabile».

Quale film stregò il giovanissimo Canova quell’anno?

«Quello che vinse: Gloria. Una notte d’estate. Con Gena Rowlands protagonista».

Se dovesse oggi dirci tre titoli, i tre film della sua vita, che sono stati spartiacque, che ha sentito “suoi“?

«Se io le chiedessi di dirmi le tre persone che ha amato di più nella sua vita, me lo direbbe? Gli amori sono segreti, difendo la privacy (sorride, ndr)».

Stesso discorso su attori e attrici immagino...

«Soprattutto per attori e attrici. Ma le dico che tra i miei 10 film migliori in assoluto cinque sono italiani. E cerco di farli vedere sempre ai miei studenti».

Allora ribaltiamo la domanda: quali film un giovane appassionato di cinema deve vedere assolutamente?

«Tutto Hitchcock, Kubrick e Fellini. Quasi tutto Antonioni, quasi tutto Bertolucci e quasi tutto Bellocchio. E, tra i recenti, tutto Garrone, tutto Sorrentino e i fratelli D’Innocenzo».