Milano – Suona strano. Quasi fosse un difetto: l’ignoranza consapevole. E invece è qualcosa di molto simile a una rara qualità, che bisognerebbe avere il coraggio di proteggere e di alimentare. Perché capace di dare svolte inattese all’esistenza. Di fare accettare i propri errori, regalando un pizzico di caleidoscopico senso. O almeno così emerge dai racconti di Gianrico Carofiglio, solo stasera alle 21 al Castello con “Gli errori rendono amabili“, recital firmato Teatro Carcano, all’interno del più ampio palinsesto di Milano è Viva. Da Aristotele a Mike Tyson, da Bruce Lee a Keats: un mosaico di aneddoti, storie, citazioni. Per ragionare insieme su quanto sia umano inciampare. Basta farlo con consapevolezza.
Carofiglio, cos’è dunque questa ignoranza consapevole?
"Un concetto che nasce osservando come le persone competenti di un settore, i professionisti, spesso non sono minimamente consapevoli dei limiti della loro conoscenza e questo determina conseguenze catastrofiche. C’è insomma al di là del nostro sapere, un territorio sconfinato in cui siamo ignoranti e che dovremmo affrontare con circospezione, cercando di essere il meno sprovveduti possibile".
Ma cosa comporta questa consapevolezza?
"Una linea di azione composta da prudenze, piccole scommesse, piani di fuga, in modo da non ritrovarsi paralizzati in progetti ampi, in cui non prendiamo in considerazione lo sbaglio. Il bagaglio delle conoscenze è limitato di fronte alla vastità della nostra ignoranza. Di solito uso un’immagine per spiegarlo".
Prego.
"La nostra conoscenza è un’isola, circondata di mare e di scogli, con un perimetro preciso. Allargandosi gli scogli divengono terraferma, il perimetro si ampia. Ma questo vuol dire solo che aumenta la nostra zona di contatto con l’ignoranza, con quello che non sappiamo".
Un po’ il vecchio “so di non sapere“?
"Sì, certo, Socrate. Ma anche Confucio, che sottolineava bene la dimensione gigantesca di questo non sapere".
L’ignoranza consapevole permette di vivere meglio?
"Permette di capire come l’errore sia parte strutturale del nostro stare al mondo. Per altro la maggior parte del tempo che viviamo lo passiamo avendo torto. C’è una storia legata a Roger Federer che credo sia molto istruttiva. Un giorno, durante il discorso per la consegna di un dottorato honoris causa, spiegò come nella sua carriera avesse vinto l’88% delle partite disputate ma solo il 54% degli scambi. Aveva insomma sbagliato nel 46% delle occasioni".
Nel lavoro unisce spunti lontani.
"Sì, questo di cui parliamo è il tema teorico. Poi indago i vari tipi di errore, i danni che si possono fare se si pensa a campi delicati come la giustizia o la politica. Ma c’è anche una riflessione sui limiti delle grandi progettualità".
Tema in cui cita addirittura Mike Tyson.
"Prima di un incontro gli dissero che il suo avversario aveva pensato a tutto un piano articolato per sconfiggerlo. Lui fece presente che abbiamo tutti un piano prima che ci arrivi all’improvviso un pugno sul viso. Mi è sembrata una sintesi interessante".
Lei che rapporto ha con l’errore?
"Lo considero organico alla vita, accetto l’idea che possa accadere. E da quando lo accetto vedo errori da tutte le parti. Ma bene così, piuttosto che cadere nella dissonanza cognitiva, di divorziare dalla realtà. Viene in mente Hegel quando sottolineava che se la teoria non si adattava ai fatti, tanto peggio per i fatti. C’è chi vive l’errore in questo modo".
Come viene vissuta la riflessione nei settori che ha frequentato?
"In generale trovo che manchi un po’ di educazione pratica. Se ad esempio penso alla giustizia, la pratica del dubbio permetterebbe di riconoscere sbagli che possono avere conseguenze molto gravi. Ma in realtà l’unico settore in cui non ho mai davvero trovato nessuno disposto ad ammettere un errore è la politica. Un test sconfortante, dove per altro c’è la tendenza a interloquire di qualsiasi cosa".
Sarebbe meglio tacere in alcuni casi?
"Decisamente. All’università mi è capitato di provare a rispondere a domande di cui sapevo poco. Ma credo sia naturale. In politica invece nessuno ammette di non sapere decidendo di non rispondere. Peccato perché la sincerità è qualcosa che poi le persone e gli elettori ti riconoscono".