Milano, 4 ottobre 2024 – Eclettico e geniale, compositore e interprete fuori dal comune, Giovanni Sollima ritorna al Teatro alla Scala nella veste di direttore e solista al violoncello.
Appuntamento domenica alle 20, con la Filarmonica della Scala; in programma, nella prima parte, del concerto di Franz Joseph Haydn dai Canti Scozzesi: “Leader Haughs and Yarrow”, “On a Bank of Flowers”, “The Shepherd Adonis” e “Concerto n. 2 in re maggiore per violoncello ed orchestra”.
Nella seconda parte, Sollima dirige il suo brano “Folktales per violoncello e orchestra”, incontro di suggestioni che ha composto lasciandosi contaminare dai linguaggi sonori del Mediterraneo.
Alle 10.30 la prova aperta, i proventi andranno a favore di Children in crisis Italy Onlus e dell’Orchestra giovanile Pepita, nata per offrire ai ragazzi della scuola dell’obbligo la possibilità di studiare e praticare musica in orchestra. Empatico anche al telefono, Sollima: “Sono in campagna fuori Fiesole, dove vivo, pur continuando a fare la spola con Palermo, Mondello, Milano. Mi piace stare qui con mia moglie, da poco è arrivato anche un cucciolone di San Bernardo”.
Maestro, partiamo da Haydn?
“Il cuore del concerto sono le radici. Ho scelto tre dei 150 Canti Scozzesi di Haydn, un’opera particolare che non si sente quasi mai. L’autore li scrive e li arrangia, come si fa oggi con il rock: una pagina o due di partitura con le indicazioni su come suonare lasciandoti, però, libero. È una musica ancora presente in Scozia, si canta e si suona; ho riorchestrato i tre brani secondo le indicazioni dell’autore e li introduco con i canti originali.
Poi eseguirò il blasonato ‘Concerto in re maggiore’, uno dei più stratificati dalla storia: attraverso il manoscritto e fonti vicine all’autore sono arrivato al primo strato. Haydn negli ultimi tempi palesava radici acquisite, viaggiava fra Austria e Ungheria; nelle sue sinfonie si trovano temi, canti popolari di quelle terre. E chiudo con un brano scritto nel 2009, ‘Folktales’: un crocevia di suoni del Mediterraneo”.
Dove sono le sue radici?
“Sono siciliano, anch’io sono stratificato: in Sicilia sono passati tutti tranne i Maya. Ci sono diversi ceppi: quello arabo, ispanico, normanno; io ho anche quello bresciano da parte di nonna. Tutto questo ha creato in me il meccanismo della ricerca, di percepire un indizio per capire la radice.
È una procedura semplice, la praticava anche mio padre: provare a riconoscere le radici attraverso le lingue, i dialetti, un accento, una luce, uno sguardo, un cognome. Questo mi ha sempre accompagnato girando il pianeta, in Australia, in America Latina, in Nord Africa, in Lapponia; sono stato anche tanto tempo nei Balcani, sempre alla ricerca di ciò che sopravvive di un mondo lontano, di una civiltà, di una musica. Torno con appunti, foto, ricordi, indelebili come i tatuaggi”.
Le manca Milano?
“L’ho lasciata a malincuore nel 2021, però qui ho fondato la mia casa editrice ‘Ricercare Editions’ e ci torno spesso. Ci ho vissuto per nove anni, è una città dinamica, reattiva come New York, Berlino; amo i centri urbani ma oggi preferisco vivere fuori. Proprio a Milano si è creato un rapporto con il pubblico speciale: riconosco gli ascoltatori, ricordo di averli già visti in precedenti concerti e loro ricambiano. Questa intesa non accade altrove”.
Lei e il violoncello, impossibile scindervi.
“Dovrebbe essere così per ogni musicista, non lo trovo strano. È uno strumento che occupa tutto il tuo corpo o quasi, è come un cavallo: devi imparare a gestirlo, imporgli la tua voce; è un’estensione lirica a un corpo e a una mente.
Il violoncello era già a casa prima che nascessi, ho lottato fin da piccolo perché volevo suonarlo, mi nascondevo nella sua custodia. Il violoncello è la mia casa. Il mio primo maestro suonava in duo con papà, pianista e compositore, dal seggiolone ascoltavo. In una famiglia dove tutti erano musicisti il violoncello era un parente”.
Cosa fa prima di entrare in scena alla Scala?
“Resto in attesa in quella piccola stanza che precede il palcoscenico, nessun altro teatro ha un luogo come quello. È un momento unico, di straordinaria pace, raccoglimento prima della musica”.