DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Le svolte di Giulio Scarpati "Io, da Lele Martini a Koltès. Kundera? Mi ha stregato”

Questa stasera sul palco di Villa Scheibler con “Eduard e Dio“. "Senza la tivù non avrei riempito le platee con L’idiota di Dostoevskij. Scola fu un vero amico. Fantoni mi insegnò ad arrivare presto a teatro"

Giulio Scarpati, 68 anni, attore, protagonista del festival Imagine del Carcano

Giulio Scarpati, 68 anni, attore, protagonista del festival Imagine del Carcano

Milano – Un’improvvisa , viscerale fede religiosa. Che non crolla nemmeno di fronte alle rigide domande di un ispettore di partito, nella Cecoslovacchia anni 60. Anche se le ragioni di Eduard hanno ben poco di spirituale. Visto che il suo obiettivo è quello di provare ad incrinare le coriacee difese di Alice, bella quanto bigotta. Ah, la passione! Così divertita in Eduard e Dio di Kundera, dalla raccolta Amori ridicoli . Sotto i batticuori, la denuncia dei totalitarismi. Un racconto che da qualche tempo Giulio Scarpati porta in giro con successo. La sua è una lettura. Raffinata. Fra parole e musiche. Che stasera alle 21 arriva in Villa Scheibler per il festival Imagine del Carcano. Ingresso gratuito.

Scarpati, ancora una volta la si incrocia sul palco con il suo teatro.

"Ma torno ora dal Festival dell’Asinara per un omaggio a Il giudice ragazzino , che uscì trent’anni fa. Quello di Rosario Livatino rimane uno dei ruoli a cui sono più legato, sia dal punto di vista emotivo che professionale".

Come è arrivato invece a Kundera?

"Amo la sua scrittura, così ironica, intelligente. Come tanti l’ho conosciuto attraverso L’insostenibile leggerezza dell’essere , con quel titolo che Arbore prendeva sempre in giro. Poi sono arrivati L’immortalità e i racconti. Quando ho letto Eduard e Dio me ne sono innamorato, una vicenda bellissima, dove emerge la critica verso qualsiasi estremismo attraverso personaggi divertenti e mai bonari. Al pubblico continua a piacere e credo che la dimensione della lettura crei un’intimità speciale".

Cinquant’anni di teatro ma per la gente rimane un Medico in famiglia.

"Ho vissuto svolte importanti, in tutti i settori. Nel teatro ad esempio ero sempre il giovane innamorato. Poi mi chiamarono per Orfani con Sergio Fantoni ed Ennio Fantastichini, dove interpretavo un ragazzo disturbato. E cambiò tutto. Oppure nel cinema con Il giudice ragazzino , dal libro di Nando dalla Chiesa, che mi regalò anche l’emozione di incontrare i genitori di Livatino. Fu uno spartiacque".

Lele Martini?

"Mi faceva ridere, era bella la sceneggiatura, innovativa per l’epoca, con quest’uomo che gestisce una famiglia da solo, al maschile. Fu un successo enorme ma mi andava stretto, volevo fare altre cose. Così me ne andai dopo due stagioni, almeno per un po’. Ma so bene le possibilità che mi diede anche a teatro. Senza la tv non avrei riempito le platee con L’idiota di Dostoevskij. Feci perfino La notte poco prima della foresta di Koltès".

Decisamente fuori target.

"Dovevo mettere i cartelli fuori: non adatto ai bambini. Perché altrimenti la gente vedeva il mio nome e portava la famiglia".

La infastidiva quel livello di popolarità?

"È un privilegio vivere l’affetto delle persone, ti accorgi di essere entrato nelle case. Con situazioni al limite del surreale. Un giorno fui fermato da uno che mi disse serissimo che voleva sposare mia figlia Margot Sikabonyi: credeva davvero fossi suo padre. Un altro mi chiese di andare a conoscere la suocera con cui era in pessimi rapporti. Visto che la signora mi adorava, sperava così di recuperare qualche punto. Quello che invece mi infastidiva era non potere uscire in pace con i miei di figli e certi modi di fare della stampa che mi raccontava sempre come il buon padre di famiglia, inventandosi situazioni e quadretti".

Incontri importanti?

"Sergio Fantoni. Mi ha insegnato ad arrivare presto a teatro, a offrire la cena quando necessario, a salutare ogni tecnico per nome. Cose che fanno la differenza. E poi Lucilla Morlacchi, eravamo insieme ne La sposa di Messina di De Capitani, le chiedevo del Gattopardo. Amico vero fu poi Ettore Scola. Aveva una padronanza assoluta del set e le idee chiarissime, tutto il film nella testa. Mi spiace solo che non abbia avuto il tempo di vedermi in Una giornata particolare a teatro".

Serata più bella?

"Una matinée di Orfani a Catania, davanti a questi studenti un po’ deportati, rumorosi. Io iniziavo da solo, facendo alcuni movimenti, ero mezzo matto. E percepii il graduale silenzio, la loro attenzione crescente. L’applauso finale fu un vero trionfo".