DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Cosa unisce una mistica tedesca del XII secolo e il poeta della generazione grunge? Ce lo spiega Federica Rosellini

L’attrice e scrittrice porta al Fontana le figure di Ildegarda di Bingen e Kurt Cobain: “Accomunate da una rete di rimandi inafferrabile”. E sui riferimenti “Al fianco dei maestri inserisco un orizzonte totalmente femminile che continua a formarmi nel tempo”

ROSELLINI

Federica Rosellini

Milano, 25 settembre 2024 – Vite (non) parallele. Ché, almeno all’apparenza, sembrano pochi i punti di contatto fra Ildegarda di Bingen e Kurt Cobain. Lei mistica tedesca del XII secolo, letterata, teologa, pure musicista; lui leader dei Nirvana e simbolo disperatissimo della Generazione X.

Intreccio dunque tutto da scoprire. Insieme a Federica Rosellini, da stasera, mercoledì 25 settembre, a sabato 28 al Fontana con “Hildekurt” per la rassegna “Chiostri Suite“ di Elsinor. Un dittico. Due profili proposti a serate alterne. In compagnia di una delle attrici (e autrici) più apprezzate degli ultimi anni. Scuola ronconiana, due volte Ubu under 35, ha sorpreso come protagonista dell’Hamlet di Antonio Latella al Piccolo. Non troppo tempo fa. In questi giorni la si incrocia al cinema in “Campo di battaglia“ di Gianni Amelio.

Rosellini, ci parli di Hildekurt.

“Lo propongo in forma di reading elettronico, ancora non sapendo bene come si evolverà il progetto, che si basa prima di tutto su una mia nuova traduzione dello ‘Scivias’ di Ildegarda, per cui ho sempre provato un grande amore. Ho provato ad accostarvi i diari di Cobain, il cui profilo umano è stato una scoperta, oltre ovviamente alla sua musica”.

Cosa li unisce?

“C’è una geografia imprevista e inafferrabile di risonanze e corrispondenze. Una rete di rimandi. Sono due figure che si definiscono anime in fiamme, lei mostrandosi col fuoco in testa, in una pagina dello ‘Scivias’, lui parlando spesso del bruciare, del consumarsi. Entrambi nelle opere uniscono scrittura e immagini. Ildegarda con miniature policrome, Cobain lavorando sul bianco e nero, disegnatore abilissimo. C’è poi il rapporto con la natura, il bosco. Insomma, è un po’ come se avessero un incedere simile. Che è andato a ispirare il mio desiderio di indagare anche la fluidità dei generi”.

Forse sono diverse le risposte a cui arrivano?

“Non esattamente. Kurt Cobain rimprovera i colleghi di avere perso la sacralità del punk rock e gli capita spesso di parlare di dio, entità che per entrambi è donna. C’è quindi un senso del sacro che torna, in una sorta di continuità in cui il dialogo col divino si basa sempre sulla fragilità, la sensazione di vivere in una frattura”.

Un giorno li unirà del tutto sul palco?

“Potrei anche lasciarli separati, facendo però in modo di poterli fruire nella stessa sera, con un intervallo. Amo le lunghe durate, sono figlia dei miei maestri… Credo ci voglia tempo per attraversare anime tanto complesse”.

Maestri: vengono in mente Ronconi, De Rosa, Latella.

“Ronconi è stato il primo, mi ha trasmesso quel suo modo così affascinante di affrontare la lettura di un testo, tradendo l’opera senza mai mancarle di rispetto. Una visione che è stato bello mettere in dialogo col lavoro sul corpo performativo e sulla parola di Latella, in un percorso che riconosco abbastanza schizofrenico della mia formazione. Da De Rosa ho imparato come indagare il suono, non a caso è nei miei progetti il sound designer Gup Alcaro, già suo collaboratore. Al loro fianco però devo inserire un orizzonte totalmente femminile che continua a formarmi nel tempo”.

A chi sta pensando?

“Virginia Woolf, Cristina Campo, Ursula Le Guin, che è una delle tantissime donne che ha affrontato il concetto per me fondamentale di distopia. Ho un immaginario che definirei surrealista distopico”.

A teatro?

“Sono sedotta da danza e performing arts, in un arco da Pina Bausch a Francesca Woodman, le cui foto racchiudono un’idea meravigliosa di messinscena”.

Come si trova al cinema?

“Mi porta in una zona anomala, un’asciuttezza che poi cerco di trasferire anche a teatro. Ho poi scoperto il dialogo con lo strumento tecnico. Mi piace molto. Vorrei che si trasformasse in un lungo viaggio”.

Cosa cambierebbe?

“I miei errori me li tengo stretti, mi hanno permesso di capire dove volessi andare. Cambierei qualcosa a livello sistemico: in Italia se sei donna è complessissimo arrivare a posizioni dirigenziali e curatoriali, figurarsi a 35 anni. Qui sei sempre la giovane attrice, anche se hai già fatto mille cose”.

Che stagione sarà?

“Bella, ne sono certa. Nei prossimi mesi ci sarà spazio per la mia dimensione più autoriale, che vorrei far crescere ed emergere con maggiore forza”.