
Il maestro Ottavio Dantone
Trovate questo articolo all'interno della newsletter "Buongiorno Milano". Ogni giorno alle ore 7, dal lunedì al venerdì, gli iscritti alla community del «Giorno» riceveranno una newsletter dedicata alla città di Milano. Per la prima volta i lettori potranno scegliere un prodotto completo, che offre un’informazione dettagliata, arricchita da tanti contenuti personalizzati: oltre alle notizie locali, una guida sempre aggiornata per vivere in maniera nuova la propria città, consigli di lettura e molto altro. www.ilgiorno.it/buongiornomilano
Milano gli ha regalato la passione e lui l’ha portata nel mondo diventando uno dei maggiori direttori d’orchestra. Ottavio Dantone è tornato a dirigere l’Orchestra del Teatro alla Scala ne “L’Italiana in Algeri“, capolavoro buffo di Gioacchino Rossini, libretto di Angelo Anelli ieri per la Festa della Musica in diretta streaming sul sito del Teatro. Il Piermarini ha proposto lo storico allestimento di Jean-Pierre Ponnelle, rivisto da Grisha Asagaroff. Dantone racconta che "ogni volta entro in questo Teatro mi guardo in giro come fosse la prima volta".
Maestro, come si è trovato a dirigere in questo contesto dovuto al Covid?
"Bene, ma è una soluzione faticosa, richiede sforzo da parte di tutti per rendersi conto dello spazio, del suono in rapporto alla distanza. I musicisti devono ascoltarsi moltissimo, oserei dire quasi in maniera sensitiva. Nonostante la distanza cerchiamo di essere a nostro agio per suonare al meglio".
Cosa significa il ritorno alla Scala?
"Una gioia. Dal 2000 ho diretto diverse opere, concerti, qui ritrovo tanti amici, Grisha, Lepore, Marco Filippo Romano, Mironov; conosco bene i professori d’orchestra, con molti di loro l’amicizia è iniziata da ragazzi mentre frequentavamo il Conservatorio. Milano è la mia città e alla Scala mi sento a casa".
Si è formato a Milano, adesso è una star internazionale.
"Quand’ero ragazzo molti studenti andavano all’estero per perfezionarsi, sono rimasto al Conservatorio Verdi, c’era la grande Emilia Fadini; a Milano ho trovato tutto ciò che cercavo. In questi giorni sono in un appartamento di Brera, quartiere che amo e mi godo il centro, sono nato in zona Porta Romana, corso Lodi, anni fa ogni quartiere era un agglomerato di conoscenze, frequentazioni quotidiane".
Quando si è innamorato della musica barocca?
"Suonavo il pianoforte, a otto anni il sacerdote della parrocchia San Luigi Gonzaga mi dato la possibilità di esercitarmi anche sull’organo della chiesa, una rivelazione. Un sacerdote della Cattedrale che veniva a celebrare messa mi portò a cantare nel coro di voci bianche della Cappella del Duomo. Ho avuto una vita fortunata, Milano mi ha dato tanto. La prima volta che ho diretto un’orchestra, ero un clavicembalista, è stato a Milano Classica, su invito di Arruga, anni dopo sono stato chiamato alla Scala da Riccardo Muti".
La maggior parte dei suoi fan è giovane. Com’è riuscito a conquistarli?
"La musica barocca piace, seduce. In questo periodo abbiamo proposto tanta musica, i nuovi canali digitali hanno raggiunto un numero infinito di ascoltatori, molti sono ragazzi. Per esperienza so che anche nei momenti negativi nascono cose belle".