GRAZIA LISSI
Cultura e Spettacoli

Luca Salsi, il baritono all’Arena di Verona: “Costretto ai ruoli da cattivo, ma io mi sento come Falstaff”

È nel cast di “Tosca” con l’altra star Anna Netrebko. E domani sarà nella “Aida” “Verdi? Il mio principale datore di lavoro. In me resiste quel ragazzo che andava in bici all’opera”

Luca Salsi in abiti “borghesi” a Milano nel 2023 per la presentazione del “Don Carlo” scaligero

Luca Salsi in abiti “borghesi” a Milano nel 2023 per la presentazione del “Don Carlo” scaligero

Milano, 9 agosto 2024 – Luca Salsi dona interpretazioni uniche, assolute e lascia sempre all’ascoltatore il desiderio di risentirlo. Macbeth, il Barone Scarpia, Simon Boccanegra, Figaro e tanti altri: l’artista ha saputo con intelligenza interpretativa rivoluzionare la figura del baritono italiano.

In questi giorni Salsi è impegnato all’Arena di Verona nel ruolo di Scarpia in “Tosca” con Anna Netrebko, sul podio Daniel Oren. Ruolo che riprenderà anche nella prossima stagione scaligera. Domani il baritono sarà Amonasro (eccezionalmente solo per questa data), nella ripresa di “Aida” nell’edizione storica del 1913 sempre diretta da Oren. Maria Josè Siri è protagonista nel ruolo del titolo, Piotr Beczala è Radames.

Maestro, di nuovo Scarpia ed è ancora un trionfo.

“Grazie, è un ruolo ben collaudato. Quando, il 7 dicembre 2019, l’ho portato in scena alla Scala ho capito che l’interpretazione di Scarpia significava imprimere una svolta importante alla mia carriera artistica. Non avrei mai immaginato di riuscire a esprimere le sfumature di una personalità così complessa; in questo sono stato aiutato dal grande lavoro con Riccardo Chailly e Livermore”.

Lei è simpatico ed estroverso, come riesce a calarsi in una figura così perfida?

“Forse proprio perché sono esattamente il contrario; mi piace portare in scena caratteri, stati d’animo che non mi appartengono, scavare nel personaggio è affascinante, rivela quanto l’umanità è varia. E poi, dopo tutti questi anni, credo di essere un discreto attore”.

Però il baritono è sempre cattivo.

“I baritoni sono cattivissimi. Falstaff di Verdi è buono, l’ho cantato anche a Vienna, è un ruolo fantastico. È un uomo più o meno della mia età, non è un vecchio come alcuni lo rappresentano; mentre lo creava Verdi ha pensato a sé stesso. È un errore raccontarlo come fosse un buffone, non lo è nell’opera verdiana, né tantomeno in Shakespeare. Falstaff ha una maniera di porsi al mondo che fa sorridere, la sua enorme mole lo rende maldestro. Lui è veramente convinto di essere un grande seduttore, s’illude di piacere alle comari di Windsor e accetta gli appuntamenti. Falstaff non è un comico ma a volte gli scappano sorrisi, battute che fanno ridere, in questo atteggiamento scherzoso mi ritrovo. Alla fine dell’opera Verdi scrive una massima che condivido: “Tutto il mondo è burla. Tutti gabbati!””.

È l’ultima opera di Verdi.

“Mi sono spesso chiesto cosa avrebbe scritto dopo il genio di Busseto, se fosse vissuto ancora qualche anno. “Falstaff” è un lavoro sconvolgente, innovativo”.

Quanto deve a Giuseppe Verdi e alla sua musica?

“Per me è stato e sarà ancora per anni il mio principale datore di lavoro, gli devo tutto, è l’autore che ho maggiormente cantato. Calarmi nei suoi personaggi mi dà forza, rigore, attraverso loro sono cresciuto come uomo e come artista. Quando sono sul palcoscenico e interpreto “Rigoletto””, “I due Foscari”, “La traviata” m’immedesimo così tanto nel ruolo che ho la sensazione di avvertire lo stesso dolore, l’indignazione, la rabbia che il compositore ha provato mettendo in musica queste storie”.

Come saranno le sue vacanze?

“Brevi, come ogni anno. Il 16 agosto finisco di cantare all’Arena e con Martina (la compagna, ndr) e i ragazzi andiamo in montagna in Austria; Ettore e Carlo sono appassionati di sport, giocano a basket con serietà e impegno, amano fare lunghe camminate. Dopo, solo con Martina, vorrei fare qualche giorno di mare. Il 1° settembre sarò già a Berlino per le prove di una nuova produzione di “Nabucco””.

Tanti anni fa, a Parma, c’era un ragazzo che guardava con ammirazione i coristi del Regio che, sulle scalinate del Teatro, aspettavano di essere chiamati per le prove. Cos’è rimasto di quel ragazzo?

“Molto e, lo dico con poca modestia, ho sempre cercato di rimanere con i piedi per terra. Quando incontro persone che mi dicono “Che carriera hai fatto!” mi rendo conto che non mi sento una persona “arrivata”. Dentro di me c’è ancora quel ragazzo che andava in bici e amava l’opera; adoro imparare dai grandi maestri con cui ho lavorato e lavoro, fra cui Muti, Chailly, Pappano. Con quest’ultimo ho cantato nella “Gioconda” di Ponchielli a Salisburgo. Quando sono con loro ritorno il ragazzo che vuole apprendere il più possibile, come fossi all’inizio della carriera”.