
Lucio Fontana
La scrittura è sua, ma la Fondazione “respinge“ il quadro e il tribunale decide di non decidere. È la controversa sorte, almeno per ora, di una probabile opera di Lucio Fontana, l’artista dei celebri tagli sulle tele, che talvolta amava aggiungere di suo pugno alcune parole sul retro: aforismi, impressioni, sensazioni de momento. Il quadro in questione, uno dei suoi Concetto spaziale - tre tagli su fondo bianco - sul retro porta "È suonato il campanello". L’opera appartiene a un gallerista milanese che era stato amico e sponsor di Fontana fin dagli esordi. Fra l’altro, possiede altre due tele riconosciute come autentiche dalla Fondazione che porta il nome del pittore. Ma per questo terzo lavoro l’organismo ha opposto un diniego. E a quel punto il proprietario ha pensato di chiedere al tribunale un “accertamento tecnico preventivo conciliativo“ che stabilisse la paternità del quadro con tanto di firma e dedica apposte. Anche perché lui, oltre a documentare la provenienza indiscutibile dell’opera, ha prodotto una perizia grafologica che conferma la mano dell’artista e una perizia chimico stratigrafica dei pigmenti. Ma i giudici hanno risposto no grazie: sollecitati in quel modo tecnicamente non rituale perché non vi sarebbe rapporto contrattuale tra le parti, non possono - dicono - esprimersi sull’autenticità del quadro. Il gallerista dovrà perciò intraprendere un diversa azione giudiziaria. Eì l’autenticità resta per ora in sospeso.
Così come, del resto, quella di un altro probabile Fontana - stavolta due tagli su sfondo rosso, sul retro "Che bel vento di marzo" - in un primo tempo dichiarato autentico dal tribunale dopo una perizia grafologica, con giudizio ribaltato dalla corte d’appello non tanto sull’autenticità dell’opera, quanto sul diritto del proprietario di rivolgersi ai giudici senza fornire la prova di aver subìto un danno ma per il solo fatto che la Fondazione quell’autenticità la neghi.
Strana richiesta in fondo, dal momento che il valore di un Fontana può sfiorare il milione di euro. Ma a parere dell’avvocato Gloria Gatti, esperta di diritto del’arte, c’è anche di più, da un punto divista “tecnico“. "Il rapporto tra collezionista e Fondazione, a mio avviso, se viene sottoscritta la richiesta sul modulo prestampato e accettato il regolamento per l’archiviazione e pagato il corrispettivo diventa un rapporto di prestazione d’opera a titolo oneroso avente natura contrattuale . Corrispettivo che - spiega Gatti - per le opere su tela è pari di solito a € 1.525". Se l’autenticità viene negata senza ragione, insomma, il danno ci sarebbe in ogni caso.