
Il conduttore radiofonico Marco Mazzoli, 52 anni, ideatore dello Zoo di 105
MILANO – A teatro lo zoo è solo uno: di vetro, firmato Tennessee Williams. Inscalfibile. Ma ecco che improvvisamente dalla radio arriva un’alternativa bizzarra. Capace di andare in sold out in diciassette minuti: Lo Zoo di 105. Che lunedì 17 marzo sbarca agli Arcimboldi guidato al solito da Marco Mazzoli, ideatore del programma stracult. Era il 1999. Da allora una storia di successi, litigi, innamoramenti che neanche i Rolling Stones. A cui si aggiunge qualcosa come quattrocento e passa querele, visto che la comicità frizzantina non sempre viene accolta calorosamente. Chissà sul palco. In compagnia di Paolo Noise, Fabio Alisei, Wender, Pippo Palmieri.
Mazzoli, vi mancava solo il teatro.
“Esperienza unica, una grande soddisfazione. Anche se siamo bolliti perché lo spettacolo dura tre ore. Sul palco portiamo i 25 anni dello Zoo con una manciata di aggiunte speciali, visto che alcune cose funzionano meglio in radio che dal vivo e viceversa. Finora abbiamo fatto sold out e non sono arrivate lamentele, quindi direi che sta andando benissimo”.
Ripensando a questo mezzo secolo?
“Tante cose avremmo potuto evitarle ma senza non saremmo diventati lo Zoo di oggi. Siamo l’ultima spiaggia della libertà di parola, di cui però abbiamo abusato. Ci odiano, stiamo sulle palle. Fino a quando non arrivano i dati d’ascolto...”.
Che rimangono straordinari.
“Appunto. Nessuno sembra però voler dare la giusta visibilità a questa cosa. Perfino nella nostra azienda, come se un po’ ci si vergognasse di promuovere il successo di questi qui che dicono porcherie. Per fortuna c’è il nostro pubblico”.
Vi vogliono bene?
“Tantissimo. Siamo una famiglia, sono loro a proteggerci. Ma tu pensa che ci portano perfino i regali: gioielli, bottiglie di vino, zerbini...”.
Siete un po’ un guilty pleasure: quel piacere sottile, di cui però si preferisce non parlare...
“Mi sa di sì. Ma questo affetto sta facendo bene anche a noi. Siamo molto uniti. Io pensavo che ci saremmo scannati a condividere viaggi e alberghi. Non é così”.
A scannarvi sono le querele: a quante siamo?
“488. E ogni giorno è un po’ come ritrovarsi a fare bungee jumping: tu sei certo di avere l’elastico, ma quando alle 14 apri il microfono e ti lanci nel vuoto, non sai esattamente cosa può succedere. In qualche modo finisci per conviverci e a veder le cose come fossero un trofeo. Anzi, mi preoccupo quando non mi querelano per un po’. Alcune però sono pesanti, rischiano di far chiudere il programma. Per fortuna in azienda sono comprensivi e ci lasciano continuare. Il nostro è un rapporto di amore e odio”.
Se lo sarebbe mai aspettato nel 1999?
“No, è stata una escalation di stronzate. Non c’è stato alcun progetto, abbiamo raggiunto la libertà un pezzettino alla volta. All’inizio dovevo semplicemente andare in onda dalle 14 alle 16, cioè l’orario di Albertino, di cui per altro ho la voce abbastanza simile. E sapevo che se mi basavo sulla musica mi avrebbe ucciso. Quindi mi sono detto: “Ma perché ridere solo alla mattina?“. È andata bene. Anche perché ho subito messo in piedi una squadra straordinaria, in grado di tamponare i miei limiti. Una macchina infallibile, con me alla guida”.
Il momento più bello?
“Le conferme. Alla festa dei vent’anni all’Ippodromo arrivarono 35mila persone”.
Il peggiore?
“La separazione. Quando Paolo, Fabio e Wender si trasferirono a Radio Deejay. È stato un lutto, ci ho messo un anno a elaborare, per poi ripartire con Maccio Capatonda, Herbert Ballerina, Ivo Avido. Ma loro avevano esigenze diverse e stava un po’ sfumando la passione. Dopo quattro anni ho quindi seppellito l’ascia di guerra e siamo tornati alla formazione originaria. Oggi non ne parliamo più”.
Davvero?
“Assolutamente. Ho la memoria lunga ma non sono rancoroso”.
La follia vera?
“Be’, una volta in diretta ho organizzato in bagno un incontro erotico, per così dire. Con tanto di microfono. In generale ho fatto mio lo slogan dei motociclisti: “Se sei incerto, tieni aperto“. Pagandone le conseguenze. Perché i nemici sono tanti”.
Importanti?
“Direi. Sono loro che quando c’è da scegliere dicono: Mazzoli no”.
All’Isola dei Famosi però ha vinto.
“L’unico vincitore di cui non si è parlato minimamente. Comunque guarda che è stata un’esperienza terribile. Sono una persona iperattiva, mi sono ritrovato lì senza niente da fare tutto il giorno. Non ti danno nemmeno da mangiare! Un’edizione poi particolarmente difficile, andavamo in onda una volta sola e fu rimandata per la morte di Berlusconi. Mai più”.
Lo Zoo invece prosegue imperterrito, cosa si augura per i prossimi 25 anni?
“Devo inventarmi qualcosa. Altrimenti non so quando ma arriverà la pensione. Meglio chiudere ancora in auge”.