Dai che ci divertiamo. Di nuovo. Quel karaoke extralarge inaugurato due anni fa tra gli spalti del “Meazza” sembra aver preso la mano, la voce e il cuore a Max Pezzali che, dopo averlo proposto pure al pubblico capitolino del Circo Massimo (ribattezzato per l’occasione “Circo Max”), lo riporta a San Siro dal 30 giugno al 2 luglio. Una festa nuova di zecca rispetto a quella del 2022 che già dal titolo “Max Forever (Hits Only)” promette tre notti a squarciagola. "Se il mio primo sogno della vita era fare San Siro e il secondo il Circo Massimo, dopo aver cantato in entrambi gli spazi mi sono chiesto cosa fare" ammette l’eroe di “Nord Sud Ovest Est”. Alla fine, Mister 883 ha scelto di rilanciare su questo suo formidabile momento e imbarcarsi in un vero e proprio tour negli stadi "…perché quelli che stanno lì sotto al palco ci credono anche più di me e vanno premiati".
Pure stavolta sarà San Siro a cantare Max più del contrario.
"Sono convinto di non aver ricevuto dalla vita doti o talenti particolari, ma solo il privilegio e la fortuna di scrivere canzoni entrate nella vita della gente. Quella che ai concerti si ritrova sotto al palco e le canta con tutto il fiato che ha in corpo legata da uno straordinario senso di comunità".
Nel caso di Milano, tutto in una cornice unica.
"Per me è San Siro ha un potere simbolico ed evocativo devastante. La Scala del calcio, mi suggerisce la fede sportiva (‘gli anni d’oro di Lauti e Thuram, gli anni di Barella e di Darmian’ come ha cantato ad una cena coi nerazzurri rimaneggiando il testo della sua canzone più amata, ndr ), ma anche il luogo dei grandi artisti protagonisti tra quegli spalti di concerti storici come Bob Marley o Edoardo Bennato, primo italiano, se non vado errato, a compiere l’impresa. Per uno di provincia come me essere arrivato fin lì è una conquista che vale il doppio".
Perché la musica moderna non regge la sfida del tempo?
"Non riesci a starci dietro. Hai un’enorme soddisfazione di dopamina quando ascolti qualcosa che ti piace, ma non riesci a starci dietro perché ne hai bisogno subito di un’altra. Questo fa sì che tutto rimanga nell’area dell’emotività e non arrivi in quella della memoria che ha bisogno di tempo, invece, per processare le informazioni".
Quindi?
"Un tempo usciva molta meno musica, ma avevi il tempo per mandarla a memoria. La logica dell’album ti consentiva di conoscere l’artista anche sotto aspetti non necessariamente commerciali, mentre quella del singolo no. Attingendo un paragone dalla mia passione per i motori, dico che oggi viaggiamo tutti su un circuito velocissimo in cui non c’è posto per le Harley, ma solo per le moto da gran premio".
Per questo gli editori si orientano preferibilmente sui cataloghi anteriori agli anni Duemila?
"I cataloghi vecchi ti offrono la certezza di investire su musica che resta, mentre gli altri no. E così chi vive di questo mestiere preferisce andare sul sicuro piuttosto che sul possibile".
Un giorno o l’altro rifarebbe Sanremo?
"Il Festival richiede un’attitudine mentale capace di tirarti fuori tutto in tre minuti, mentre io, che ho la sindrome del passista, in quel breve lasso di tempo non riesco neppure a capire dove mi trovo. Meglio le due ore e un quarto del concerto. Sanremo comporta la volontà di creare un progetto tutto focalizzato sul Festival, perché, se vai tanto per andare, meglio allora buttarla sul ciclismo, che alla mia età fa pure bene alla salute".