
IDEE Napalm, opera creata da Banksy nel 2004 (©Steve Lazarides)
Milano, 28 settembre 2018 - Chissà se deciderà di esserci (come spera il curatore), mimetizzandosi fra il pubblico di una fra le mostre più attese dell’autunno milanese, al Mudec. Lui è Banksy, artista e writer inglese la cui identità rimane tuttora nascosta, uno dei “big” della street art contemporanea. Le sue opere trattano argomenti universali: politica, cultura, etica. The Art of Banksy A Visual protest, (21 novembre 2018 - 14 aprile 2019) è la prima esposizione organizzata da un museo pubblico; indaga la figura dell’artista in 70 lavori tra dipinti, sculture e stampe, oltre a oggetti, foto e video. Pure questa mostra, come le tante in giro per il mondo organizzate da gallerie e musei, «non autorizzata». Ad esclusione dell’unica, organizzata da Banksy stesso al Bristol Museum. Ma era il 2009.
Una scelta «coraggiosa» che rientra nel più ampio progetto concepito dal Mudec, “Geografie del futuro”, che comprende altre due mostre (Capitani coraggiosi. L’avventura umana della scoperta e Se a parlare non resta che il fiume). Come ha raccontato il curatore dell’esposizione su Banksy, Gianni Mercurio, «non è facile lavorare con un artista che è un fantasma» anche se attivo sui social, da Istagram a Twitter. «Ma basta non perdersi d’animo». E Mercurio l’ha contattato, ha messo insieme preziose informazioni raccolte fra collezionisti d’Oltralpe che conoscono l’identità dell’artista. Tutto per raccontare attraverso uno sguardo retrospettico l’opera e il pensiero dell’artista, un «percorso a suo modo accademico e insolito» che vuole dare a un pubblico variegato le chiavi di lettura per comprendere meglio le culture del mondo e i grandi temi della contemporaneità.
Da Parigi a Betlemme i graffiti di Banksy ogni volta che appaiono sono un happening globale; coinvolgono un vastissimo ed eterogeneo pubblico ed è uno degli artisti più amati dalle giovani generazioni. I murales di Banksy realizzati (con la tecnica dello stencil) in diversi luoghi del mondo tuttora esistenti o rimossi verranno presentati in una speciale sezione attraverso fotografie e video «evidenziando quanto il genius loci sia un aspetto fondamentale del suo lavoro», aggiunge il curatore. Non solo: la prima sezione della mostra (aiuta a contestualizzare) illustrerà i «movimenti» che hanno utilizzato una forma di protesta visiva e a cui Banksy fa riferimento esplicitamente; dal «Movimento situazionista» degli anni ’50 e ’60 alle forme di comunicazione praticata dall’Atelier Populaire,collettivo di studenti che nel maggio 1968 diffuse attraverso centinaia di manifesti i temi della protesta su muri di Parigi. Non resta che attendere. E chissà che Banksy non scelga Milano per «uscire dalla gabbia» dell’anonimato in cui si è astutamente cacciato per autopromuovere le sue opere.