Milano,14 aprile 2017 - Bresciano nato nella medioevale Curt dei Pulì, Gian Butturini. Una vita, conclusa poco più che settantenne nel 2006, percorrendo la storia del secondo Novecento: «Fotografo ergo sum» si era presentato in una video-intervista del ‘97. Come il grande Henri Cartier Bresson sapeva che il fotografo non deve correre, ma camminare instancabilmente, così da afferrare quello che offre il marciapiede. L’anziano clochard della swinging London sul ciglio della strada con la scritta LOOK. Wojtyla nel Cile di Pinochet. Nella sabbie del Sahara le tracce dei soldati cadaveri, e le montagne di mine con il marchio di fabbrica (prodotte vicino a Brescia). Ragazzi tra le rovine di Belfast. L’antipsichiatria di Basaglia. Foto emblematiche, perché chi le osserva può riconoscersi nell’appartenenza all’umanità. Non accademico, freelance per vocazione, quasi mai «inviato», l’instancabile viandante in cerca di emozioni da raccontare, con a tracolla Leika e Nikon, ha lasciato un archivio di flash iconografici ben più esplicativi di inchieste giornalistiche. Che i figli fanno gestire da Heillandi Gallery di Lugano animata da Giuseppe Violetta, giovane realtà che grazie al notevole portfolio, e ai premi già ottenuti nelle fiere, sta diventando non solo in Ticino un punto di riferimento per la poetica dell’immagine.
Fondazione Stelline corso Magenta 61, fino all’11 giugno