ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Noi, Nomadi da 55 anni cantiamo per tutti: da Berlinguer a Salvini

Beppe Carletti nella redazione de Il Giorno per la diretta Facebook si racconta ai lettori

Beppe Carletti anima dei Nomadi e il direttore del Giorno Sandro Neri

Miolano, 3 liuglio 2018 - Nomadi si nasce. Ma pure si diventa, come accaduto ai tanti che Beppe Carletti ha chiamato nel tempo accanto a sé per portare avanti l’epopea di “Io vagabondo” e l’eredità di Augusto Daolio. “Nomadi 55 - Per tutta la vita”, l’album celebrativo che Carletti ha presentato ieri in redazione al Giorno, ad esempio, il primo inciso assieme al nuovo cantante Yuri Cilloni. In occasione dell’anniversario il tastierista emiliano, 71 anni, ha dato alle stampe pure volume “Questi sono i Nomadi e io sono Beppe Carletti” scritto a due mani con Marco Rettani. Tutto nell’attesa di tornare in concerto a Trescore Cremasco l’8 luglio e a Bolladello di Cairate il 13.

Quanti concerti fate durante l’anno?

«Un’ottantina. Ma quando c’era meno crisi arrivavamo tranquillamente a 150. Negli anni Ottanta, con Augusto, arrivammo addirittura a 220, con un luglio da 31 concerti in 31 giorni».

E il ricambio generazionale?

«Ci deve essere stato per forza. Se avessimo solo lo zoccolo duro che ci segue dagli anni ’60-’70 non potremmo certo permetterci un calendario così».

Alla Festa della Lega di Caravaggio, cantando “Io, vagabondo”, Matteo Salvini ha detto “questi sono gi unici nomadi che ci piacciono”.

«A parte che Salvini è sempre stato un nostro fan, se un politico ama certe canzoni mi fa solo che piacere. Ho letto da qualche parte che pure Berlusconi canta i pezzi dei Nomadi. Le canzoni si scrivono per farle arrivare al cuore di tutti, non ci trovo niente di male. Salvini ne fa un uso politico? Affari suoi. Io faccio canzoni».

Nel libro c’è un capitolo riservato alla politica.

«Sì, parla degli incontri che ho fatto. Il primo fu Berlinguer, al Pincio di Roma nel 1983, il famoso giorno in cui Benigni lo prese in braccio. Si avvicinò a me e ad Augusto chiedendoci un autografo per sua figlia che era una nostra fan. Anni dopo ho incontrato pure D’Alema, ma la reazione non fu altrettanto amichevole».

Cosa accadde?

«Eravamo a Città del Messico per un concerto allo Zócalo, assieme a Jovanotti. Salì in scena D’Alema, allora presidente del Consiglio, per congratularsi, ma dette la mano solo a Lorenzo senza rivolgerci nemmeno un ‘ciao ragazzi’. Stessa scena all’aeroporto, al momento di tornare in Italia. Forse non ci conosceva. Vuoi mettere con Enrico Letta che, quando era premier venne addirittura alla nostra festa dei cinquant’anni a Cesenatico? Lo stile è stile...».

Suonaste pure in Chapas.

«Già, in mezzo alla foresta, col palco illuminato da candele. A La Realidad, ai confini col Guatemala, incontrammo il vescovo Samuel Ruiz García e chiapanenchi che combattevano per la loro terra. Di lì a qualche tempo sarebbero arrivati gli squadroni della morte e in una chiesa ne avrebbero massacrati una sessantina».

Altre esperienze che vi hanno segnato la vita?

«L’incontro col Dalai Lama a Dharamshala. Tempo dopo accettai di suonare in piazza San Pietro per Papa Giovanni Paolo chiedendomi se avrei provato la stessa emozione. Fu proprio così. Il Dalai Lama mi disse: non voglio strapparti alla tua religione, ma se capirai il buddismo amerai ancora di più il tuo cristianesimo. Straordinario».

Il più bel momento che ha vissuto con Augusto?

«L’abbraccio sul palco della Festa dell’Unità di Modena nel ’90 con cui chiudemmo davanti a ventimila persone la diatriba che ci aveva opposto ad altri due membri della band. Dopo aver carezzato l’idea di piantare tutto, eravamo nuovamente padroni del nostro destino».