
L'appuntamento - Ornella Vanoni
Milano, 22 maggio 2016 - Piccola. Sorride dalla poltrona dove sta leggendo. «Come ti sembra la nuova casa? Piccolissima, grandissima, piccola, sono le tre che hai visto negli anni». Via privata in Legnano, primo piano, minimalista con memoria, la strategia della lumaca da largo Treves, «il trasloco affidato a un amico, per rendere la cosa meno faticosa». Il distacco dalle cose è stato felice, Ornella Vanoni si muove negli spazi mentali di sempre, senza accumuli emotivi: «Che ci vuoi fare, siamo longevi in famiglia, una zia di 109 anni, mamma novantenne. La cosa un po’ mi terrorizza ma sto bene, guarda: non sono neppure a dieta».
Un pensiero per Marco Pannella: «Gli dobbiamo moltissimo, divorzio e aborto. Non esiste una donna che ami abortire, ci sono invece quelle che adorano divorziare visto che hanno sposato miliardari. Mi vengono in mente Ivana Trump e i suoi ragazzi. Se a 60 anni stai con un quarantenne non c’è nulla di male, ma pagare un uomo per averlo, io non potrei. Sono una femmina, voglio essere desiderata». Per questo «da dieci anni ho chiuso con il sesso, a 70 anni mi sono trovata con una storia andata male, ho sbagliato totalmente: mi amava ma mi subiva. Io ironica, lui permaloso, infatti il suo saluto è stato molto duro. Ho chiuso con il sesso perché diventi insicura del tuo corpo. Sono stata molto corteggiata e desiderata, non sopporterei dopo un po’ di tempo un rifiuto, aspettare la telefonata che non arriva».
L’assistente va e viene silenziosa, come la signora ucraina: «Mi chiede sempre: perché non uccidete Putin? Le rispondo che non è la cosa più semplice del mondo». E il barboncino Why, un trottolino color bourbon, senza ghiaccio. Americano di padre è. Ricorda di quando «ero piccola e i mondi dei bambini e dei grandi convivevano separati nelle case della borghesia milanese. Si andava a letto all’ora di Carosello, ma io stavo già con Strehler (gran sorriso). Ho postato su Facebook le foto di quando avevo 21 anni, per zittire che mi accusa di ogni operazione estetica. La bocca, sempre avuta così (risata soddisfatta)». Il pensiero è un’anguilla senza pensieri: «Canto con i tre jazzisti, lo faccio meglio e durante i loro assoli mi riposo. Tutto è ricominciato con Paolo Fresu, trombettista e amico meraviglioso. Mi piacerebbe andare a trovare Sting in Toscana, dirgli: ti ricordi da Versace e vorrei fare una canzone con te».
Disegna il suo perimetro affettivo: «Tutto sempre più vicino a casa. In largo Treves l’edicola, poi il bar sulla sinistra dove incontravo i Lavezzi, Mimosa e Mario. Il fruttivendolo di via Solferino, carissimo ma con i sapori della mia infanzia. Amo il cinema e vado all’Anteo, anche stasera con mio figlio Cristiano. Mi piacciono i grattacieli di Porta Nuova sullo sfondo, andare in Feltrinelli Red. Teatro al Parenti, per il legno, il posto e la regista Shammah. Il Piccolo, dove ho rivisto L’opera da tre soldi e ho avuto un flashback del primo allestimento di Giorgio (Strehler): io ragazza timida che osservavo, anche Brecht e Weill in carne e ossa. Avrei potuto fare cinema e teatro, dopo il successo de L’idiota, ho scelto la canzone con più fatica all’inizio, ero troppo elegante, venivo da un mondo colto. Allora Strehler ha scelto Milva. Giorgio è l’uomo che mi ha amato di più, mi ha plasmato: avevo 18 anni. L’ho lasciato per la cocaina, non lo potevo sopportare. Ma non dimentico nulla: la commozione del viaggio nella sua Trieste (gli succedeva anche al cinema), il dolore per il nostro distacco (ti odierò per tutta la vita)».
La vita adesso sono i due nipoti, «Matteo, 21 anni, che studia da bartender a Londra, Camilla, 18, femminilità pazzesca, che a 14 voleva girare il mondo lavorando e poi fare subito famiglia. Il lusso, povera me, e la semplicità. I locali. Tutto qui in zona, Il Consolare, La Nuova Arena, Libera, Il Matarel. Un aperitivo al Bar Basso. Il Quadrilatero no, anche se stavo in Sant’Andrea, ma sotto casa avevo una libreria. Adesso quelle scarpe, quelle borse, troppe scarpe, troppe borse». Mappa sentimentale, i nomi di piazze e vie solo sue: «Le mie amiche, quelle che sento di più. Stella la giornalista, Laura Panno l’artista, Donatella Girombelli (Genny) di Ancona e Dani Bertazzoni dell’Hotel et de Milan. Daniela Gerini, fashion designer, Roberta Balsamo, bellissime borse. Amici uomini. Il Lavezzi, simpaticissimo, Gabriele Semeraro, pianista, Francesco Leto, Pino Roveredo, scrittore (devi leggere «Mastica e sputa»). Mi innamoro solo di teste così. Franco Bosisio, il manager creativo (Swatch). Roberto Spada, il commercialista». I libri impilati sul tavolino sono la clessidra del suo tempo. «Ci beviamo un gin tonic? Ho abbandonato lo spritz dopo un malore a Venezia. Lo champagne sta in cantina, se no mi faccio una boccia da sola. Siamo amici?». Sì.
di MARCO MANGIAROTTI