DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Teatro Elfo Puccini: Otello al presente, uno di noi

De Capitani e Bruni rileggono il classico

Elio De Capitani (Otello) e Federico Vanni (Iago)

Milano, 23 ottobre 2016 - Otello parla al presente. Lasciandosi la tradizione alle spalle. Possibile? Questo l’obiettivo della nuova produzione dell’Elfo Puccini firmata da Elio De Capitani e Lisa Ferlazzo Natoli, da domani in prima nazionale in Sala Shakespeare (info: 02.00660606). Regia a quattro mani. Raro. Su nuova traduzione di Ferdinando Bruni. Con De Capitani a ritagliarsi anche il ruolo del protagonista, ovviamente. Affiancato in scena da Federico Vanni nei panni di Iago, Camilla Semino Favro in quelli di Desdemona e poi fra gli altri Cristina Crippa e Angelo Di Genio. Progetto che incuriosisce. Non solo per lo spessore del cast. E questo nonostante sia già il terzo “Otello” che si incrocia a inizio stagione, dopo Branciaroli e Balletto Civile. Non c’è pace per il Moro.

De Capitani, com’è allora questo nuovo Shakespeare?

«Posso dire che abbiamo cercato di leggerlo al presente. Di reilluminarlo con la nostra epoca, il nostro pensiero, il nostro spirito».

Perché una nuova traduzione?

«Ci sembrava l’unico modo per partire da zero. E se mai riusciremo in questa sfida, sarà merito delle parole meravigliose scritte da Bruni. Ogni epoca ha bisogno del suo Shakespeare, senza riferimenti precedenti. Una grande ambizione, che ti spinge a sedere sul ciglio».

Un commento sui protagonisti, partendo dal suo Otello.

«Otello è un bambino soldato, è cresciuto combattendo. Ma il testo è una tragedia da camera e così questa volta si trova di fronte alla prova per lui più difficile: la vita civile, in casa. Fin dal primo incontro con Desdemona si capisce quanto non sia abituato, non sa come comportarsi nella normalità. È come se avesse un disturbo post-traumatico, è un soldato di ritorno dal Vietnam».

Iago?

«Lui è frutto dell’osservazione. Giro molto con i mezzi pubblici e quotidianamente percepisco il veleno sociale. Il trionfo del capitalismo ha tolto a molti la dignità, dando in cambio un sentimento di inadeguatezza sfogato nella rabbia, nell’odio, nell’invidia. Iago lo si incontra in continuazione, è la persona comune, il suo mistero è il nostro».

E Desdemona?

«Shakespeare è un manuale dell’idiozia del maschio. Desdemona mi fa venire in mente “Just like a woman” di Bob Dylan: “She makes love just like a woman… but she breaks just like a little girl”. Fa l’amore come una donna ma si spezza come una ragazzina. È rimasta affascinata dalla vita vera di quest’uomo, l’ha scelto avvicinandolo con struggimento. Ma la sua è anche una ribellione che fatica a gestire. Desdemona è fragile e forte allo stesso tempo, è un ossimoro».

Insomma, tutto pronto per domani?

«Non è facile capire se il tuo lavoro è un passo avanti nella comprensione. Mi sono spogliato di tutto e ho cercato di mettere da parte la mia cassetta degli attrezzi, i 43 anni di palcoscenico. Non credo si possa d’altronde fare teatro oggi con i soliti, vecchi strumenti. È il momento di un’analisi diversa, domani vedremo se ci siamo riusciti».