Milano – Abbiamo tutti quei cantucci (esistenziali) dove crediamo di stare comodi comodi. A nostro agio con la vita e con il mondo. Ma se le cose non stessero così? Se fosse solo la paura di cambiare e di metterci in gioco? Domande legittime. Ma per fortuna tutte da ridere con Paolo Camilli, solo stasera al Teatro Manzoni con il suo “Sconfort Zone – Il paradiso delle irrelazioni“. Un assolo. In compagnia di personaggi piuttosto bizzarri. Oltre ovviamente all’attore comico marchigiano, star dei social e attivista lgbt+, premiato per “The White Lotus“ e presto in un film con Whoopi Goldberg.
Camilli, cos’è Sconfort Zone?
“Un ’one man show’ comico incentrato su quelle che di solito chiamiamo confort zone, situazioni in realtà complesse, che per mille ragioni non ci decidiamo ad affrontare nonostante siano spesso caratterizzate da relazioni logore o problemi di lavoro. E allora ho pensato di dar loro il giusto nome e di farmi aiutare da un’Intelligenza artificiale”.
Addirittura?
“Sì, un’intelligenza emotiva che permette di entrare in dimensioni lontane, confrontandosi con personaggi che ne sanno più di noi”.
Ad esempio?
“Da Carrie di Sex and the City a Ilary Blasi. Ma c’è anche Scupido, quello che fa il lavoro sporco, antieroe contemporaneo che separa dalle relazioni tossiche. Oppure un medium che prova a metterci in contatto le persone che ci hanno fatto ghosting, riunendole sul palco”.
Si rischia l’assembramento…
“Una folla che neanche al concerto di Taylor Swift”.
Ma lei come vive le sconfort zone?
“Ho la fortuna di avere un lavoro che mi mette sempre alla prova con nuovi progetti e nuovi incontri. Per il resto cerco di starne lontano. Ma poi ci ricasco”.
Quando ha scoperto invece che le piaceva far ridere?
“Nei corsi di improvvisazione teatrale che ho seguito giù nelle Marche, dalle mie parti. Mi sono accorto presto che mi veniva naturale fare emergere le parti più ironiche. Poi sono arrivati i social, il lavoro sul linguaggio. Ho capito presto che era quello che volevo, non avevo piani B”.
La svolta?
“Quando mi hanno premiato con il SAG Award per essere nel cast di “The White Lotus“. Lì c’è stato un click nella testa. Insieme alla consapevolezza di quanto sia importante chiamare le cose con il proprio nome, a partire dai nostri desideri. Quindi se uno vuole vincere l’Oscar fa bene a dirlo, senza vergognarsi o autocensurarsi”.
Come descriverebbe la sua comicità?
“Non è la classica stand-up, c’è un pensiero sulle luci, le musiche, le immagini che rendono il lavoro un vero e proprio spettacolo, con emozioni diverse e perfino alcuni momenti di commozione. A me poi piace la comicità di situazione, quella del Trio. Ma ho molto amato anche progetti come Little Britain o Mr. Bean, vero clown tragico”.
Quanto incidono sul suo lavoro le tematiche lgbt+?
“Moltissimo. Fra i vari personaggi c’è ad esempio anche Lilith, la Britney Spears della Bibbia, prima compagna di Adamo, chiamata a raccontare la propria versione dei fatti. E la sua è una storia di empowerment femminile, rappresenta una grande donna libera”.
Sono riflessioni accolte dalla stand-up italiana?
“Sì, assolutamente. Ma in questo senso sono stanco della polemica sul politicamente corretto. Non è vero che non si può più dire niente: puoi dire qualsiasi cosa ma nel modo giusto, con parole più alte. Un esercizio di scrittura e di stile fondamentale nel momento in cui ti confronti con temi diversi rispetto al passato e con i quali puoi finalmente empatizzare”.