La nuova puntata del nostro viaggio nelle piazze letterarie di Milano arriva in piazzale Stazione Genova che sorge attorno alla ferrovia inaugurata nel 1870, allora circondata da fabbriche. Lo spunto narrativo è fornito da Alda Merini, la poetessa dei Navigli e una delle più importanti voci liriche del Novecento italiano. La citazione è tratta però da un suo brano in prosa, “Stringa“, contenuto nella raccolta “Il ladro Giuseppe. Racconti dagli anni Sessanta“, pubblicata nel 1999. Il ritratto del senzatetto Stringa, “vero romantico”, diventa simbolo di “un’epoca dolce che poi avremmo a lungo rimpianto” dice la Merini, rifernedosi al quartiere operaio della sua infanzia. Un’anima popolare a cui la zona di Porta Genova sarebbe rimasta fedele anche nei decenni successivi, fra atelier degli artisti e botteghe artigiane, e un po’ appannata, invece, a detta dei residenti e negozianti storici, dal “divertimentificio” sorto dopo Expo.
Milano – «Stringa era a quei tempi un vero colore locale e chiudeva in bellezza un’epoca dolce che poi avremmo a lungo rimpianto. (…) uscito lui dalla Porta Ticinese, non variava il suo corso di molto e finiva un poco più in là, in Porta Genova oscura». Il clochard «Stringa» ispira uno dei più bei «racconti magici» di Alda Merini (pubblicato solo nel 1999 nella raccolta “Il ladro Giuseppe. Racconti dagli anni Sessanta”). «I personaggi sono reali, sono quelli che hanno popolato la mia infanzia e la mia adolescenza: miseri, scontati, indisciplinati e “diversi”» spiegava la poetessa dei Navigli nel ringraziamento d’apertura. Bambina e adolescente negli anni Trenta e Quaranta, la Merini, scomparsa nel 2009, fece in tempo a conoscere un quartiere nei dintorni di piazzale Stazione Genova, misto di industrie e residenze operaie con le corti e i ballatoi, profondamente diverso da quello attuale.
Furono gli industriali a spingere per la costruzione della stazione ferroviaria fra il 1865 e il 1870 e inaugurata come “Porta Ticinese” (oggi Porta Genova). Nei dintorni era sorto nei decenni precedenti il primo polo industriale fuori dalle mura spagnole, composto dalla fonderia Zanoletti, la sottostazione Edison e la Vetreria Bordoni, gli stabilimenti dell’Ansaldo e quelli della Cge, collegate in alcuni casi direttamente alla ferrovia con raccordi privati. Poi la funzione industriale sparì completamente.
«Ma la natura scapigliata e popolare della zona è proseguita nei decenni successivi, con gli atelier degli artisti, le botteghe artigianali e i locali con l’anima» ricorda Luca Alberio, 57enne socio e barman del Capetown di via Vigevano, aperto da 25 anni. In questo pub era di casa Antonio Corbetta, una reincarnazione, in qualche maniera, per la natura indisciplinata, dello “Stringa” della Merini.
Grossa barba, occhiali sul naso, una notevole passione per l’alcol, ex orologiaio, si dice che fosse stato assunto dagli uffici milanesi della Walt Disney come tuttofare. Misteriosi i suoi orari di lavoro visto che bazzicava ad ogni ora del giorno (e della notte) il piazzale di Porta Genova e i locali nei dintorni. «Dall’aspetto sembrava un senzatetto ma una casa ce l’aveva, in via Barbavara. Del Corbetta mi manca la profonda vena umoristica. Gli volevo un profondo bene anche se certe volte sapeva andare giù pesante.
Un giorno mi tirò un bicchiere d’acqua in faccia. Feci il giro del bancone per acchiapparlo ma lui, col suo bel passo da “Pippo”, fu veloce ad allontanarsi. Per una settimana non si fece vedere. Quando ritornò, mi disse con la sua faccia tosta: “Guarda che l’altra volta era solo una benedizione. Se vuoi ti do l’estrema unzione…”». Corbetta è scomparso nel 2012 «e forse – prosegue Alberio – è stato meglio così: non ha dovuto assistere allo strazio di un cambiamento radicale, alla distruzione del tessuto sociale avvenuta dopo Expo». «Sono prevalsi altri interessi, il quartiere è diventato un divertimentificio, la magia di un tempo non c’è più» incalza Graziana Martin, 60 anni, residente della zona e titolare dello store di abbigliamento militare “Martin Luciano” aperto dal padre nel 1938.
Oggi è a rischio anche la funzione ferroviaria di Porta Genova, terminale di testa della linea Milano-Mortara-Alessandria. Le ipotesi di dismissione negli ultimi anni si sono rincorse, in coerenza col progetto di rigenerazione urbana dei setti scali ferroviari dismessi, avviato nel 2017 con la firma dell’accordo di programma da parte di Gruppo Fs, Comune di Milano e Regione Lombardia. Il timore dei pendolari è che l’apertura della nuova M4 a San Cristoforo (che è pure una fermata della linea regionale), attesa per la fine settembre, segni la fine della stazione di Porta Genova. «La soppressione è caldeggiata solo dal comune di Milano e non obbedisce ad alcuna logica trasportistica visto che, assieme a Cadorna, è l’unica stazione vicina al centro della città» la posizione critica di Franco Aggio, 58enne presidente dell’associazione fra pendolari Mi-Mo-Al. «Nell’ultimo incontro tecnico in Regione, comunque, abbiamo avuto rassicurazioni sul fatto che la stazione rimarrà in funzione almeno sino a settembre 2025».
Incerto pure il destino del Ponte degli Artisti che connetteva il piazzale della stazione con via Tortona, scavalcando i binari. Il collegamento in ghisa, che risale agli anni Dieci del ‘900, è chiuso dal 2016 per una questione di sicurezza. Ma i lavori di riqualificazione non sono mai partiti. La spianata del piazzale invece è stata interessata da un intervento di urbanistica tattica voluto dall’amministrazione dal 2019 con l’obiettivo di creare uno «spazio di sosta» con sedute, rastrelliere, vasi fioriti e una pavimentazione a strisce bianche e blu. A distanza di un lustro, le strisce sono abbastanza sbiadite e gli arbusti dei vasi non sono ancora alberi con le fronde. Così nel mese più caldo dell’anno star seduti a lungo sulle panchine che scottano, circondate da un verde solo “metaforico”, diventa il contrario di una «pausa urbana»: una tortura.