
'Il Quarto Stato'
Milano, 5 giugno 2015 - Dietro il volto sicuro , deciso e consapevole dell'Uomo col cappello che avanza al centro de "Il Quarto Stato" di Pellizza da Volpedo si nasconde una storia vera, intima e personale, che coinvolge l'artista e il suo modello, l'amico ex-garibaldino e farmacista di Volpedo, Giovanni Gatti. Non si tratta di un saggio, neppure uno studio critico ma è il racconto di un vita: quella di un uomo che ha attraversato la Storia di una neonata Italia con la stessa coscienza e partecipazione del lavoratore cui ha prestato le fattezze, in virtù di un'amicizia - 'frutto di un uguale sentire' - con Pellizza. A narrare questa storia, ricostruita grazie ad un diario inedito e ad un ricco materiale documentario, la pronipote di Giovanni, Maria Vittoria Gatti, che presta con affetto e sensibilità voce e penna al proprio bisnonno, rievocando un'epoca di grandi rivoluzioni sociali ma celebrando, al contempo, l'amicizia privata tra due uomini, un farmacista e l'artista di Volpedo, destinati a diventare diversamente celebri. Nel libro ('L'uomo col cappello', Nomos edizioni, 14,90 euro) viene allegata una mappa estraibile che propone un evocativo percorso esplorativo, a piedi o in bicicletta, di luoghi cari a Pellizza e all'amico Gatti: Milano, Volpedo e le campagne tortonesi. Da dove nasce l'idea del libro? Da una chiacchierata con alcune amiche davanti al quadro "Il Quarto Stato" di Pellizza da Volpedo al Museo del Novecento di Milano. Proprio mentre osservavamo il capolavoro, ho detto loro che l'uomo con il cappello era il mio bisnonno. Incredule mi hanno chiesto spiegazioni e appena ho iniziato a raccontare la vicenda, mi hanno detto che era impossibile non scriverci un libro.
In effetti nessuno era ancora riuscito a dare un'identità a quell'uomo in primo piano nel quadro. Esatto. Pellizza scriveva i nomi di chi posava per le sue opere e li pagava tre lire al giorno. Ma lui ed il mio bisnonno erano amici e non c'era bisogno di annotare alcun nome o conferire un pagamento. In segno di gratitudine gli dipinse il ritratto con dedica che ancora conserviamo e che abbiamo riprodotto all'interno del libro.
Perché scelse proprio lui come protagonista del quadro? Non certo perché aveva le caratteristiche fisiche adatte al soggetto, o meglio, non solo. Pellizza e Giovanni erano uniti dagli stessi ideali, avevano la stessa spinta socialista e repubblicana. Giovanni Gatti era un uomo che aveva attraversato la Storia di una neonata Italia con la stessa coscienza e partecipazione del lavoratore a cui ha prestato le fattezze, in virtù di un'amicizia - "frutto di un uguale sentire" - con il pittore Pellizza.
Un'amicizia così forte tanto da essere contestata la scelta di un farmacista per la figura centrale del Quarto Stato e non un bracciante o un operaio (a non condividere la decisione il sedicenne Luigi Dolcini, quello in seconda fila con le braccia tese in avanti e i palmi aperti)? Sì, anche quando Pellizza si tolse la vita, molti giornalisti dell'epoca (era il 16 giugno 1907) vollero parlare con il mio bisnonno. sapevano che aveva un'amico fraterno poco fuori Volpedo e lo andarono a cercare. Lui rilasciò addirittura un'intervista all'Opinione liberale e tenne un discorso anche durante il funerale.
Il libro parte proprio con il racconto di quella drammatica alba. Una delle parti che mi ha emozionato di più scrivere. Si parla di quando il farmacista, che spesso di notte veniva chiamato nelle case a fare le veci del dottore per ascessi e febbri improvvise, viene svegliato con la peggiore delle notizie: il 'pitur' e suo grande amico, con cui aveva passato intere serate a parlare di socialismo e proletariato e di come l'arte possa dare voce ai più deboli, non ha retto e si è impiccato.
Ma la protagonista del libro è in assoluto la vicenda biografica dell'uomo col cappello. Giovanni Gatti, un uomo che, ancora ragazzo, scappa dall'Italia per unirsi all'armata dei Vosgi guidata da Garibaldi in Francia negli Anni Settanta dell'Ottocento; che ritorna e vive da farmacista a Volpedo, dove stringe amicizia con il pittore Pellizza, fino a diventare suo modello. Ma soprattutto un uomo che si era posto delle domande: come fare per diventare un Paese libero, il senso della guerra e come poteva essere la pace.
Un bisnonno...dove ha preso le informazioni per scrivere? In famiglia hanno sempre parlato di lui mio padre e mio nonno. Ma la fonte principale è stata il diario di Giovanni Gatti, nel quale raccontava per filo e per segno quello che vedeva in guerra ma meno i sentimenti e le sensazioni. Fondamentale è stato anche il professore Ettore Cau, fondatore dell'Associazione Pellizza da Volpedo.
Un diario che ha visto spesso anche da bambina? Da sempre. Provai a leggerlo, per la prima volta, a dieci anni. Lo lasciai a metà: la calligrafia era indecifrabile. Poi, mia madre lo battè a macchina e allora lo ripresi in mano. Me ne innamorai. L'ultima volta l'ho letto ai miei figli, l'estate scorsa. Anche se qualche scena è un po' cruda, è stato apprezzato anche da loro.
Quanto c'è di vero e quanto di romanzato nel libro? E' un racconto che non ha la pretesa di aderire perfettamente alla realtà storica dei fatti, ma in cui succede quel che spesso accade nella vita: i fatti che paiono più inverosimili sono quelli avvenuti realmente.
Ad esempio? La guerra, le strategie, i movimenti. Non avrei mai saputo inventarli. Ho invece aggiunto qualche personaggio, ognuno con il suo carattere e in rapporto con chi ha intorno. Per esempio, Marie è una donna che Giovanni incontra davvero nella sua vita ma sono stata io a decidere che lui se ne innamora. E anche i dialoghi. La parte che riguarda Volpedo non ha carteggi, tra due amici non c'era bisogno di scrivere nulla.
E quindi, come ha fatto? E' andata a Volpedo? Innanzitutto ho letto tutto quello che è stato scritto su Pellizza da Volpedo, ovvero i libri di Aurora Scotti Tosini, la professoressa che mi ha fatto incontrare Ettore Cau. Ma non finisce qui: sono andata a Volpedo e ho conosciuto i nipoti del pittore. Oltre ad avermi cordialmente ospitata, mi hanno fatto entrare nella casa di Pellizza e nel suo studio.
Un'esperienza non da tutti i giorni All'inizio le emozioni avevano preso il sopravvento su tutto, mi sentivo fortunata di avere la possibilità di essere in quel luogo e girare in quelle stanze. Poi, però, un particolare non da poco: tutto era controluce. E nelle pagine del mio libro non era così. La luce non arrivava da una vetrata, come avevo scritto io, ma da un lucernario. Così, una volta a casa, ho dovuto risistemare la descrizione. E pensare che era il capitolo per il quale ero più entusiasta e soddisfatta.
Un romanzo scritto in prima persona, è stato difficile? Avendo un legame di sangue ed affettivo con il protagonista mi sentivo spesso coinvolta emotivamente. Ho letto tutto il diario del mio bisnonno e poi l'ho riassunto in queste pagine, come se fosse una serie di memorie scritte di getto per essere lasciate da leggere a qualcuno.
Una storia familiare, personale, che diventa patrimonio pubblico: perché sceglie di divulgarla? Ho voluto fare un regalo a mio papà che mi ha sempre parlato di suo nonno. E poi credo che sia bello far conoscere la storia di un'epoca, attraverso la storia delle persone, in questo caso della famiglia Gatti. Sono convinta che questa sia una delle tante storie intrecciatesi con la vicenda compositiva del Quarto Stato. Delle "storie nella storia", come titola un capitolo del libro, è la prima ad essere raccontata. Una storia piccola all'interno della grande Storia.
di Marion Guglielmetti