Milano, 27 novembre 2023 – Don Carlo è un titolo fondamentale per la Scala. Rappresentato per 204 volte dal 1868 – un anno dopo il debutto parigino – al 2017, a Milano è andato in scena con ventidue allestimenti nelle diverse versioni, sempre importantissime, e con varia fortuna. Regìe più o meno apprezzate, ma tutte entrate nella storia del teatro musicale. Inoltre l’opera è stata diretta sempre da bacchette illustri, tra cui Serafin, Toscanini, Abbado, Muti e, in anni più recenti, Gatti, Luisi e Myung- Whun Chung.
La versione di Verdi
In questi 150 anni, spicca la versione scaligera che Giuseppe Verdi curò personalmente nel 1884. Proprio quella che il maestro Riccardo Chailly ha scelto per inaugurare il 7 dicembre la prossima stagione del Piermarini. Don Carlo è un titolo celebre e amato, un capolavoro assoluto (e come tutti i capolavori ogni volta che lo si ascolta rivela bellezze nuove) che si inserisce in un percorso preciso che ha avuto come tappe precedenti Macbeth di Verdi e Boris Godunov di Musorgskij. Culture, Paesi, musiche diverse, ma titoli che vedono protagonista il potere.
Una trilogia per temi
"Sono stati pensati nell’arco degli anni: nel terzo titolo, Don Carlo, ci sono pagine importanti che testimoniano l’idea di Macbeth e Boris", racconta Chailly a pochi giorni dal debutto. "Leggendo un volume di Tullio Serafin, ho intuito le affinità che ci possono essere tra Macbeth e Boris, che, come Don Carlo, sono spinti da un desiderio di potere assoluto a scapito di un popolo oppresso".
Il maestro continua ricordando che dal 1951, quando è nata la tradizione di Sant’Ambrogio, Don Carlo è stato rappresentato cinque volte in apertura di stagione, seguito da Macbeth a quota quattro. “Nel 1968 ero poco più che un ragazzo e Claudio Abbado mi diede la possibilità di assistere alle prove: l’ho riascoltata recentemente su Youtube e ho ritrovato tanti umori a cui ho assistito nella genesi del primo Don Carlo. Abbado scelse proprio la versione del 1884 concepita per questo teatro, la stessa che eseguirò. Non potrò mai dimenticare la prova sezione con i violoncelli: la scena in cui Filippo II canta ‘Ella giammai mi amò’ non è mai stata concepita per un violoncello solo, come spesso è stata eseguita – riflette Chailly –. Claudio lo sapeva, aveva consultato il manoscritto con gli appunti di Verdi conservato a Casa Ricordi. Li ho riguardati anch’io e il compositore non fa menzione di un unico violoncello. Porterò una pagina con tutta la sezione dei violoncelli, ricordo il fascino timbrico e il senso di mistero che aggiunge un suono così importante e molto difficile, impone una bravura totale, nessuno può sbagliare. È un dettaglio che mi collega emotivamente a quell’interpretazione di Abbado, ma è anche una giusta attenzione filologica".
Orchestrazione da maestro
Quest’opera ha un’orchestrazione straordinaria: nel 1884 Giuseppe Verdi era già un compositore maturo, che rifletteva sul passato con meno speranze nel futuro. "Ci sono due fazioni: quella che sostiene la versione in cinque atti e l’altra che sposa quella in quattro atti", continua Chailly. "Questa versione è stata pensata espressamente per il Teatro alla Scala: Verdi la definiva ‘una versione con più concisione e con più nerbo’. Nel 1977 ho seguito le varie versioni incise da Abbado, le ha create con amore e preoccupazione per gli artisti coinvolti. Il Don Carlo originale è un lavoro enorme, uno spettacolo immenso".
In epoca pre pandemia, il maestro aveva già provato con l’orchestra l’intera scena di Filippo II all’inizio del terzo atto; la grande romanza del soprano è poi stata portata in concerto e incisa con Anna Netrebko. Chailly conclude: "La dominante timbrica di questa partitura passa dal fasto all’oppressione della corte spagnola: dal colore locale come nella canzone della Contessa di Eboli del primo atto all’oppressione del popolo, momento grandioso nell’orchestrazione di Verdi per il colore strumentale. Sono due i momenti che prediligo: nel primo atto l’incontro tra Rodrigo e Filippo e nel terzo lo scontro tra Filippo II re di Spagna e l’Inquisitore".