ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Riccardo Cocciante, pura Anima: “La mia carriera iniziò con un flop. Poi, una sera, suonai con De Gregori e Venditti...”

Il cantautore festeggia i 50 anni dell’album. “A Milano sperimentati i concerti residenti alla francese. La chiusura dello Smeraldo? Un danno alla cultura”. Show-evento il 29 settembre all’Arena di Verona

Riccardo Vincent Cocciante, 78 anni, festeggerà i 50 anni dell’album Anima con uno show all’Arena di Verona il 29 settembre

Riccardo Vincent Cocciante, 78 anni, festeggerà i 50 anni dell’album Anima con uno show all’Arena di Verona il 29 settembre

Che tempi, quei tempi. “L’idea di tenere dei concerti residenti a Milano mi venne dai francesi” ricorda Riccardo Cocciante. “In Italia quella di suonare più sere nello stesso posto era un’idea peregrina, ma la realizzai ugualmente. Allo Smeraldo. Delle tante scommesse artistiche fatte in città è la prima che ricordo. Con un filo di malinconia perché oggi lo Smeraldo non esiste più e deploro la scomparsa di certi luoghi di spettacolo per il danno che questo determina alla cultura. Nella mia vita c’è stato il periodo romano, poi quello americano, a Miami dove ho scritto con Mogol ‘Se stiamo insieme’ (con cui nel ’91 ha vinto Sanremo, ndr) e le arie principali di quel che sarebbe diventato ‘Notre dame de Paris’, mentre ora sto a Dublino”. È un momento speciale per Richard, come lo chiamano i francesi facendo leva sul fatto che è nato a Saigon: cadono i 50 anni di “Anima”, l’album da cui è nato tutto. E di cui parla al tavolo di un ristorante in zona Tortona.

Un successo arrivato al terzo album, il suo.

“I primi due, ‘Mu’ e ‘Poesia’, sono dischi sperimentali incisi quando non sapevo ancora chi fossi. Al tempo il sistema ti permetteva di sbagliare anche due-tre dischi, o addirittura quattro, prima di metterti ai margini. Oggi devi centrare il bersaglio al primo colpo, spesso al primo singolo”.

Pure Anima non partì benissimo.

“Era il disco in cui mi giocavo tutto, ma, una volta registrato e prodotto, fu rifiutato. Un dramma. Poi mi arrivò l’offerta di suonare al Teatro dei Satiri in una serata a tre con Francesco De Gregori e Antonello Venditti. E le cose cambiarono, nonostante l’unica freccia vera al mio arco fosse ‘Poesia’. ‘Bella senz’anima’ e ‘Quando finisce un amore’ c’erano già, ma nessuno le conosceva. Non scrivendo pezzi politici, di lotta, avevo bisogno di essere capito. E quella sera accadde, perché la gente colse il senso di rivolta annidato dietro l’allegoria dei testi. A quel punto il produttore Ennio Melis, mi disse: rifacciamo il disco. E ad arrangiarlo chiamò Ennio Morricone e Franco Pisano”.

Ma “Bella senz’anima” non ingranò lo stesso.

“Già. I deejay non la passavano. Melis s’inventò un tour di canzoni da far ascoltare nelle discoteche a notte inoltrata e la inserì nel novero. Ancora una volta fu la gente ad accorgersi di me e a chiedersi chi fosse quest’ufo. Il successo di ‘Bella senz’anima’ più che promuoverlo l’ho subìto perché mi cadde addosso all’improvviso, lasciandomi un’unica, inquietante, domanda: e adesso che faccio?”.

Sì, perché il brano divenne subito “export”.

“Nella Spagna franchista riuscì a passare tra le maglie della censura e quel ‘y ahora desnùdate…’ venne percepito addirittura come un inno di libertà. Stesso discorso, tempo dopo, con ‘Margherita’ che in Italia uscì in un momento politico caldissimo, ma ottenne lo stesso un grandissimo successo”.

Un’epopea lunga mezzo secolo che festeggia con un unico concerto il 29 settembre all’Arena di Verona.

“Ogni tanto bisogna tornare a raccontarsi e il live è sempre un gran bel momento di verità. Brani come ‘Quando finisce un amore’ o ‘Era già tutto previsto’ non sono mai stati dei singoli, eppure la gente li ha fatti propri grazie proprio ai concerti”.

Perché “Anima”?

“Come scriveva Saint-Exupéry l’anima è quel che c’è ma non si vede. Nel caso di un artista si rivela sul palco. Perché cantare, almeno nel mio caso, è come spogliarsi. Di successo o no, il vero artista è un diverso capace di esprime sulla scena la sua interiorità. Stare fuori dagli schemi, non essere omologato, mi ha creato anche dei complessi che il tempo m’ha concesso di rimuovere. ‘Notre Dame’ è una celebrazione della diversità. In Italia, al di là di Sanremo (che però è un concorso), non esiste un premio che riconosca i meriti nel tempo di chi esprime la sua arte nelle canzoni. E questo è sicuramente un peccato”.