ANDREA SPINELLI
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Cultura e Spettacoli

Roberto Cacciapaglia e il suo “Time to be”: L’esplorazione interiore in musica”

Il cantautore: “Considero Battiato il mio fratello maggiore. E il viaggio in Nepal ha ispirato un brano”

Roberto Cacciapaglia

Roberto Cacciapaglia

Milano, 23 marzo 2025 –  il momento di essere sé stessi. Per il nuovo album di Roberto Cacciapaglia un titolo come “Time to be” nasce proprio dall’esigenza di cercare dentro di noi la chiave interpretativa del mondo che ci gira attorno. In una società malata di materialismo “sbilanciata sul fare, sul cercare, sul volere” essere significa ritrovarsi come spiega il compositore e pianista milanese sulla poltrona di “Soundcheck”, il format musicale del nostro giornale disponibile pure su web e social, parlando del concerto di martedì prossimo all’Auditorium in Largo Gustav Mahler. “Nel rock la musica è rappresentazione di un’idea di vita. Per me, anche se non faccio rock, vale un po’ lo stesso principio”.

Il viaggio di “Time to be” è iniziato la scorsa estate in Scozia, quando al Festival di Edimburgo ne ha eseguito un primo assaggio, “Incipit”, rielaborazione dell’adagio K488 di Mozart.

“Nel disco l’unico brano con orchestra, nel caso I Virtuosi Italiani, è il ‘Padre nostro’ finale. Il resto del repertorio l’eseguo, infatti, con una formazione minimale che, oltre al pianoforte, prevede violoncello e una postazione elettronica che non produce suoni digitali, ma utilizza dei software per espandere il suono acustico”.

A Milano vara un tour di sei date italiane a cui ne seguiranno altre all’estero, come quella del 13 maggio all’Islington Assembly Hall di Londra.

“Nello spettacolo ci saranno diversi momenti di ‘Time to be’, perché il disco si porta dietro un’idea, come detto, che mi è molto cara e vorrei cercare di trasferirla pure nella musica facendo sì che il concerto non sia a senso unico, ma realizzi col pubblico uno scambio continuo sollecitando una sua partecipazione attiva”.

Sono passati cinquant’anni da “Sonanze”, suo primo album, e dieci da “Tree of life”, album con i brani composti e selezionati per lo spettacolo “lumière et musique” de L’Albero della Vita durante Expo 2015.

“Una bellissima avventura quella di Expo, anche per i feedback che il pubblico ha voluto mandarmi”.

Per la sua esperienza di musicista, il desiderio di trascendenza dell’ascoltatore è stabile o influenzato dai tempi?

“Il desiderio di esplorare l’invisibile c’è sempre, però cambia forma a seconda dei tempi. Anche se le differenze civili, sociali e culturali davanti alla musica si stemperano, dando l’impressione a chi la fa di esibirsi per un’unica, enorme, platea”.

Nei panni di produttore, lei ha collaborato con tantissimi artisti del pop, da Battiato ad Amanda Lear, da Gianna Nannini ad Alice o Giuni Russo.

“Tutti m’hanno lasciato qualcosa d’importante. Anche se Battiato, per me, era una specie di fratello maggiore, che ho conosciuto all’età di 15 anni”.

Un posto dove ancora non è stato e vorrebbe portare la sua musica?

“Santiago de Compostela. Per la forza espressiva indotta dall’incontro tra musica e spiritualismo. Sono reduce da un viaggio in Nepal dove la fortissima suggestione delle grotte di Halesi-Maratika mi ha ispirato un brano, Sky door”.

E uno dove ha trovato un’energia speciale?

“Parlando di teatri, sicuramente la Carnegie Hall di New York, dove sono passati in tantissimi, da Bernstein a Gershwin. Grazie anche a quella serata ho avuto l’onore di ricevere pure il riconoscimento per il ‘Best Concert 2019’ dalla rivista Bluebird Reviews. Emozione forte pure al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, col ricordo di Nureyev e Baryshnikov a fare capolino da dietro le quinte”.