GIAN MARCO WALCH
Cultura e Spettacoli

Addio a Roberto Brivio, il “Gufo” cantore di Milano

Il Covid s’è portato via il cabarettista, scrittore, cultore del dialetto, artista a tutto tondo e amato collaboratore de Il Giorno. Aveva 82 anni

Roberto Brivio

Roberto Brivio

Milano, 23 gennaio 2021 - Fino a quando... Nell’ultimo pezzo scritto per Il Giorno, uscito il 10 gennaio, domenica, Roberto Brivio aveva fatto in tempo a celebrare, con parole tanto semplici quanto precise, senza fumisterie cervellotiche, Franco Loi, scomparso sei giorni prima, il poeta che “el famos dialett milanes l’aveva trasformà in lingua”, una lingua che tale restava “anca se piena de paroll italian che gh’hann minga la traduzion nanca in sul vocabolari”. Nemmeno due settimane e siamo qui a scrivere di Roberto Brivio come di un altro grande milanese che ci ha lasciati, ucciso, lui, proprio dal Covid, dopo qualche giorno di ricovero al San Gerardo di Monza. Un grande milanese, un grande artista e un grande amico del Giorno, e dei suoi lettori, ai quali da “tri ann e mezz” Brivio regalava con assoluta regolarità il suo “Angolo di Milano”, la rubrica di costume e cultura con cui commentava gli ultimi fatti, in un milanese preciso ma, miracolo, facile anche per i meneghini “ariosi”. 

Roberto Brivio con la moglie Grazia Maria Raimondi
Roberto Brivio con la moglie Grazia Maria Raimondi

Un’altra delle sue quasi infinite vite quella dello scrittore per un quotidiano a larga diffusione. D’altronde Roberto Brivio con il suo pubblico aveva un legame indissolubile: lo scorso Ferragosto, in una relativa pausa del coronavirus, era stato, alla tenera età di 82 anni, ne avrebbe compiuti 83 fra pochi giorni, il 21 febbraio, uno dei protagonisti della “Milanesada”, la festa che lo Spirit de Milan, il locale dal sapore vintage, aveva organizzato al Castello Sforzesco. Una serata che, grazie alla maestria di Brivio, di Enrico Beruschi, Franco Visentin e Grazia Maria Raimondi, sua moglie e compagna d’arte, aveva raccontato la storia dei primi cabaret cittadini degli anni Sessanta, dall’Intra’s Derby Club al Refettorio. Di quei mitici cabaret Roberto Brivio era stato uno degli artisti di punta.

Il gruppo cabarettistico I Gufi
Il gruppo cabarettistico I Gufi

Diplomato nel 1959 all’Accademia dei Filodrammatici, per Brivio l’incontro decisivo era scattato nel 1964, con Nanni Svampa e Lino Patruno, oggi il solo sopravvissuto della compagnia. Un trio al quale si era aggiunto Gianni Magni, per dar vita ai Gufi, il gruppo musical-cabarettistico che ha lasciato un segno indelebile nella comicità ad alto livello, nostalgica (“El me gatt”), o provocatoria nell’Italia tristemente scudocrociata (“La Badoglieide”). Se Magni era dei Gufi la maschera mimica, Brivio impersonava il versante noir, era “il cantamacabro”, autore di testi come “Cipressi e bitume”. Non apprezzò Brivio la decisione di Gianni Magni di intraprendere una carriera, peraltro poi non proprio felicissima, da solista: “Non gliel’ho mai perdonata, fu un suicidio, facevamo ogni sera il tutto esaurito”. 

Lui, comunque, personalmente, non si suicidò. Tutt’altro. Si dedicò all’operetta, al musical, alla prosa: regista e allestitore di quasi 60 spettacoli. Fu un mattatore televisivo ai tempi delle antenne semiartigianali, prima del duopolio Rai-Fininvest: memorabili, su Antenna 3, “Lo Squizzofrenico” e “Meglio Gufi che mai”. Aprí e gestí sette teatri, dal Briviotenda al Cristallo all’Ariberto. Intanto scriveva, Roberto Brivio, oltre a essere la maschera di “Milano Meneghino”: tredici libri, fra cui “I canti goliardici” e “El liber di Parolasc”, magari irriverente, mai volgare. E, per Il Giorno, “L’angolo di Milano”.

Mancherai ai lettori, carissimo Roberto.