Si vive solo due volte. E per Salvador Sobral, in scena il 14 marzo al Blue Note per presentare il nuovo album “Timbre”, questa è decisamente la più felice. Ricordarselo, infatti, a Kiev sul palco di quell’Eurovision Song Contest – vinto nel 2017 davanti a Francesco Gabbani e ad altri quotati pretendenti – con la forza dei sentimenti di una canzone anomala per le frivolezze della glitterata kermesse europea quale “Amar pelos dois” significa ricomporre la memoria di un’altra persona e di un’altra vita. Quella anteriore al trapianto di cuore che di lì a qualche mese gli ha cambiato l’esistenza molto più del microfono di cristallo alzato al cielo (non ancora in fiamme) della capitale ucraina.
Salvador, parliamo di “Timbre”.
"È l’album meno jazzistico fra quelli che ho realizzato finora, perché legato al folklore sudamericano e alle sonorità tropicali. Anche se il gruppo che mi accompagna è di estrazione jazz e quindi lo spettacolo parla quella lingua, con tanta improvvisazione e tanto interplay".
A Kiev, riferendosi all’Eurovision, parlò di “musica da fast-food”. Poi ci ha ripensato.
"Avevo 27 anni e vedevo il mondo con altri occhi. Oggi penso che al mondo ci sia posto per tutto, per la musica erudita come per quella d’intrattenimento. L’importante è che sia onesta".
Ma se quelli eurovisivi erano per lei solo fuochi d’artificio senza sostanza, perché partecipò al Festival da Canção, la rassegna che sceglie il rappresentante del Portogallo all’Esc?
"Il Festival da Canção è un po’ la Sanremo portoghese. Così, quando mia sorella Luisa mi propose d’interpretare la canzone che le era stata commissionata dalla per portare il Portogallo in Europa, pensai che l’esperienza avrebbe potuto rappresentare una buona opportunità per far conoscere il mio primo album ‘Excuse me’, e mettere in agenda un po’ di concerti. Poi è accaduto quello che è accaduto".
Le carriere dei fratelli Sobral rimangono separate.
"Sì, perché, anche se qualche concerto assieme l’abbiamo pure fatto, non siamo un duo. Un po’ come capita a Caetano Veloso e a sua sorella Maria Bethania, che ogni tanto magari collaborano, ma rimangono entità distinte che fanno musiche completamente diverse".
E poi la sua vita al momento ruota attorno ad altre figure femminili.
"Già, a mia moglie Jenna (Thiam, attrice - ndr) e a nostra figlia Aïda di un anno e mezzo. La mia splendida ossessione. La prima volta che l’ho presa tra le braccia m’è venuto spontaneo sussurrarle all’orecchio la ‘Eu sei que vou te amar’ (‘So che ti amero’ - ndr) di Vinicius e Jobim".
Un progetto che custodisce gelosamente nel cassetto?
"Vorrei tanto incidere un disco con orchestra. Sull’impronta di quanto fatto da Joni Mitchell al tempo di ‘Both sides now’ con gli arrangiamenti di Vince Mendoza. Forse sono ancora un po’ troppo giovane, ma prima o poi lo farò".
Nel momento più difficile, avrebbe mai immaginato che tutte le tessere della sua vita sarebbero andate a posto?
"No, guardi, avevo fatto pace con l’idea di dover morire. Per questo intendo tutto quello che è arrivato poi un gran regalo che ha voluto farmi la vita".