ELVIO GIUDICI
Cultura e Spettacoli

La Forza del Destino e le note sul manoscritto ritrovato: scoperti 85 bifogli protocollo del 1872 con le parole di Verdi

Milano, a ridosso dell’inaugurazione della stagione scaligera spunta un testo sugli atti dell’opera che diventerà una pubblicazione

La presentazione del manoscritto del libretto della Forza del destino al Teatro alla Scala

La presentazione del manoscritto del libretto della Forza del destino al Teatro alla Scala

La realtà romanzesca è di casa, nel melodramma, ma talora investe anche la realtà esterna al palcoscenico: ed è successo proprio a ridosso della prossima inaugurazione scaligera, con La Forza del Destino di Verdi. Si sa come procedeva Verdi nell’accingersi alla composizione di un’opera nuova: stendeva personalmente uno schema delle diverse scene (lui lo chiamava “la selva”, indispensabile per abbozzare il quadro drammaturgico generale, che era solito definire “la tinta dell’opera”), che poi mandava al librettista di turno affinché lo traducesse nei versi di quello che sarà il libretto: una volta ricevuti i quali, tuttavia, approvava (raramente), criticava (quasi sempre), sostituiva (spesso) con manciate di suggerimenti, sorta di nuova “selva” da versificare nuovamente.

Il carteggio verdiano è ricco di documentazioni al riguardo: ma adesso, s’è aggiunto un nuovo tassello, che ha molto del romanzesco. Non si sa - l’anonimato è imperativo - chi materialmente abbia rinvenuto (la fantasia melodrammatica galoppa figurandosi uno svuotamento di cantina con scoperta e apertura di un baule polveroso… bellissima scena d’opera) il manoscritto steso da Francesco Maria Piave per la prima versione della Forza del Destino, quella destinata nel 1862 al teatro di San Pietroburgo: sono 85 bifolii protocollo, quasi tutti non rilegati, su molti dei quali Verdi ha apposto annotazioni, ripensamenti, proposte. Venutane a conoscenza, Laura Nicora (paleografa e filologa musicale, perito del Collegio Lombardo), s’è attivata affinché tale documento non corresse il rischio, sempre ahimè concreto, che lasciasse l’Italia: ora è di proprietà di Carlo Hruby (amministratore delegato della Hesa, azienda specializzata in sicurezza – ha creato quella per la Fenice e per il Museo della Scala – ma anche mecenate, fondatore dell’Associazione Musica con le Ali), che a sua volta ha contattato sia l’attuale sia il prossimo Sovrintendente scaligero – Dominique Meyer e Fortunato Ortombina – coi quali ha messo in piedi una squadra che in meno d’un mese ha provveduto alla digitalizzazione dei fogli con lo scanner planetario Metis Gamma nei laboratori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, di Milano.

In progetto per l’anno prossimo una pubblicazione completa di tale manoscritto, con relativi commenti critici. Questa è la cronaca. Ma ai fini d’una maggiore conoscenza di Verdi, questo ritrovamento è utile? Moltissimo. Si scoprono due iniziali stesure del prim’atto, sostanziali varianti per l’aria di Alvaro e per il terzo duetto di questi con Carlo, due stesure del Rataplan diverse entrambe dall’ultima, nonché parecchi altri interventi minori. In tutti, si scorge nitidamente avanzare verso la perfezione il concetto drammaturgico di Verdi, stelle polari essendone sempre concisione e chiarezza: “brevità e sublimità”, prescrive spesso al povero tartassatissimo Piave: il quale, in calce al frontespizio del libretto manoscritto, appone la commovente ma anche rivelatrice frase “Deve conservarsi per provare con essa quanto faceva lavorare / il Verdi per un libretto (vedrai ei cambiamenti)”. Ennesima ancorché sempre utile prova di quanto l’autore vero di pressoché tutti i libretti di Verdi fosse Verdi medesimo: il quale ebbe a scrivere, proprio a proposito della seconda tribolatissima versione del finale dell’opera, “una volta trovate le parole giuste, la musica viene da sé”. Certo, ma solo se ci si chiama Giuseppe Verdi.