DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Simone Cristicchi diventa la voce dell’esodo istriano a Milano

Il cantautore debutta al Piccolo Teatro Studio con Magazzino 18 dopo 500 repliche e 350mila spettatori

CRISTICCHI

Simone Cristicchi

È una pagina di storia piuttosto scomoda. Complessa. All’epoca del debutto (dieci anni fa), si scatenò una vera e propria contestazione. In compenso il successo di pubblico è stato importante. Aprendo a Simone Cristicchi una seconda vita teatrale, dopo i successi sanremesi. Da stasera “Magazzino 18“ arriva ospite del Piccolo Teatro Studio. Passaggio prestigioso. Anche un po’ inaspettato, all’interno di una stagione che pare muoversi in altre direzioni. Qui con un musical civile che racconta l’esodo forzato degli italiani di Istria e Dalmazia, dopo i trattati del 1947 in favore della Jugoslavia di Tito. Al centro di tutto un luogo simbolo: il Magazzino 18 del Porto Vecchio di Trieste, che ancora oggi conserva tantissimi oggetti degli esuli. Due ore di monologo. Scritto insieme a Jan Barnas, regia di Antonio Calenda. Con le parole a intervallarsi ai brani originali.

Cristicchi, dieci anni per uno spettacolo è quasi un record.

“Abbiamo raggiunto le 500 repliche, siamo nell’ordine delle 350mila persone. Non me lo sarei mai aspettato, anche perché mi sembrava argomento ostico. Invece è arrivato un gradimento trasversale, di pubblico e di critica”.

All’inizio il clima era parecchio antagonista.

“I primi tre anni ho lavorato in teatri letteralmente presidiati dalle forze dell’ordine, a volte ritrovandomi in contestazioni pittoresche. C’erano sempre le camionette dei carabinieri, nel timore che qualcuno andasse sopra le righe. La Digos diramava comunicati e c’era la bonifica degli spazi prima del mio arrivo, un intervento di tipo militare. Qualcosa di surreale e inquietante. Poi la cosa è sfumata, come se si fosse piano piano capita la reale natura del progetto”.

Qual era il motivo della contestazione?

“È un fatto storico che divide in maniera forte anche gli studiosi e che a teatro assume ulteriori sfumature emotive. Il vero fenomeno in discussione è quello delle foibe, che non trova una lettura univoca nemmeno sui numeri. Ma lo spettacolo nasce solo dalla volontà di ridare dignità alle vittime, alle persone. E, soprattutto, di provare a interpretare gli eventi in chiave più spirituale, alzando lo sguardo”.

Quindi non è uno spettacolo di destra, se così si può dire?

“No, lo definirei super partes. Gli spettatori non escono da teatro con un’idea politica ma con uno stato emotivo, una maggiore coscienza storica. Io per primo ho imparato cose nuove. Un processo di conoscenza che attraverso le canzoni assume una forma simile al musical, in grado di ammorbidire i passaggi più complessi”.

La tensione spirituale è un tratto che continua a caratterizzare il suo teatro.

“È così, insieme alla filosofia. Nell’ultimo lavoro ho approfondito la figura di San Francesco in una produzione del CTB di Brescia. Ma in questi giorni non potevo esimermi dal tornare indietro a quel periodo storico. È la mia prima volta al Piccolo, lo considero un grande onore e forse il modo migliore per concludere questi 10 anni”.

Con “Magazzino 18“ è cominciata la sua seconda vita?

“Sì, mi ha fatto entrare nel circuito dei grandi teatri e degli Stabili. Gli devo molto. Come sono molto riconoscente ad Antonio Calenda, grande maestro che da allora mi segue alla regia”.

C’è qualcuno che continua a guardarla come “quello di Sanremo“?

“Percepisco affetto, fiducia, tantissima stima. Mentre il pubblico cresce in maniera sorprendente. Rimane che forse sono poco catalogabile: lavoro su testi inediti e non affronto i classici, anche se continuano a propormeli. A dover scegliere, non mi dispiacerebbe fare Beckett, lo sento vicino come sensibilità”.

Fra i colleghi invece?

“Alessandro Benvenuti è stato fondamentale per i miei primi monologhi e nell’insegnarmi a stare in scena, ad usare la mimica e la voce. Mi piace poi Emma Dante, ovviamente. E il Teatro Patologico di Dario D’Ambrosi”.

La musica?

“A giugno sono uscito con il mio nuovo album “Dalle tenebre alla luce“, dove ho raccolto diversi brani composti in questi anni per gli spettacoli. La musica rimane centrale nella mia vita: a teatro, nell’attività live, nel progetto Concerto Mistico per Battiato, dove affronto il suo repertorio spirituale. Ho capito però che sono un artista da palco, non da radio”.

Cosa si augura ora?

“Di trovare sempre storie che possano farmi crescere, stimolando la mia curiosità. Per il resto sto leggendo Spinoza e Giordano Bruno. Chissà che non sia tempo di passare agli eretici”.