DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Milano, al teatro Parenti "Come sposare un miliardario"

"Atro che Weinstein, sul palco racconto il maschilismo nella società di oggi"

Giorgia Sinicorni

Milano, 4 luglio 2018 - Pare siano 2.208. Non uno di più, non uno di meno. E tutti insieme detengono il 50% della ricchezza mondiale. O almeno così racconta Forbes. Perché dunque non cercare di accalappiarne uno? È l’obiettivo della protagonista di «Come sposare un miliardario. Ovvero il capitalismo spiegato da una donna…», oggi al debutto al Franco Parenti per la regia di Carla Bianchi. Il testo di Audrey Vernon è tuttora un successone in Francia. A portarlo (e tradurlo) in Italia ci ha pensato Giorgia Sinicorni, bellezza inquieta che piace al cinema e alla tv. One woman show. Dal titolo provocatorio. Ma gonfio di risate e d’indignazione.

Giorgia, come è arrivata al testo della Vernon?

«È un lavoro che in Francia ha fatto 500 date. Quando l’ho visto me ne sono innamorata. Ha un approccio leggero a temi importanti, che riesce a leggere con intelligenza».

Il titolo ha una sfumatura sessista...

«Sì, è una provocazione. Il mio personaggio è una donna che non ce l’ha fatta e ora affronta il matrimonio con un miliardario come fosse un obiettivo di lavoro: con entusiasmo e determinazione. E nel farlo condivide istruzioni che sembrano tanto quelle per montare un qualsiasi mobile. Un modo paradossale per raccontare del maschilismo nella nostra società, dove abbiamo dovuto aspettare il Caso Weinstein per discutere di molestie, maternità, disparità salariale».

La forma che ha scelto è particolare.

«Mi erano già capitati dei monologhi ma qui il lavoro è aperto verso pubblico, cerco una comunicazione diretta. Non è però “stand up comedy”: manca la frontalità neutra, ci sono un personaggio, una scenografia, dei costumi».

Quale rapporto ha con il teatro?

«Mi sono formata all’interno della tradizione, con Giuffré e Gabriele Lavia. Il contatto col pubblico e il fatto che sul palco non ci sia possibilità di sconti, sono l’origine di tutto».

Non teme di venire etichettata all’interno della comicità?

«Ho deciso di seguire le cose che mi parlano. In questo caso l’urgenza di affrontare di certi temi, da cui scaturisce alla fine un senso di solidarietà. C’è poi il discorso di ritrovarsi in un mondo dove poche migliaia di persone decidono ogni dettaglio e in cui se compriamo un prodotto, c’è dietro tutta una filiera che determina conseguenze precise: inutile poi agitarsi per la gente che cerca di emigrare, siamo noi che creiamo certe dinamiche, spesso a causa di multinazionali che propongono modelli di vita dai profondi riflessi globali. Spero che questa sensibilità mi possa identificare come attrice, non certo le risate».

I colleghi condividono questa sua sensibilità?

«Io credo nella bontà dell’essere umano. Diciamo che a volte semplicemente non si sanno alcune cose».