DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Stand-Up comedy: un uomo solo e il suo microfono. Perché Milano è la capitale del genere

A teatro o nei circoli impazza una comicità che fa (o dovrebbe fare) di cattiveria e cinismo le sue cifre

A destra Lenny Bruce, scomparso nel 1966

A destra Lenny Bruce, scomparso nel 1966

Milano, 8 ottobre 2024 – Moriremo tutti! Urlava così Lenny Bruce appena saliva sul palco, durante la crisi dei missili a Cuba del 1962. E gli spettatori giù a ridere. Che se il matto ti indica il baratro, a te viene da sghignazzare. Il terrore lo lasci a casa con la babysitter. È la stand-up, bellezza. O almeno così viene raccontata.

L’uomo solo in piedi, con il suo microfono. Poi certo Lenny è una specie di nume tutelare, citato pure da DeLillo in quel capolavoro di “Underworld". Più in generale il concetto ha invece creato una certa agitazione filologica. Un groviglio di opinioni, chiacchiere, rancori. Per capire quali sono i confini fra il cabaret, la comedy, le varie scuole nazionali (regionali), il monologo comico, la serata di barzellette.

La rivoluzione della comicità

Ma al di là delle etichette, c’è un fatto che pare piuttosto oggettivo: lo sbarco in Italia della stand-up ha coinciso con una sorta di rivoluzione culturale. L’inedito rigore nella forma, è diventato veicolo per accogliere nuovi temi e nuove ampiezze. Parabola necessaria. Che ha svecchiato e portato maggiore spessore all’ambiente.

In una visione che comunque va anche ripulita di un certo giacobinismo: non è che non ci fosse nulla prima dei comedian e non è che la stand-up si sia dimostrata impermeabile alle dinamiche di mercato o alle derive social. Anzi. Ma qualcosa è successo. E Milano ne è stata testimone. Forse addirittura guadagnandosi il ruolo di capitale della stand-up.

Il grande ospite

Difficile non pensarlo nel momento in cui sbarca in città uno come Louis C.K., per la prima volta in assoluto in Italia nel 2019 e poi di nuovo due anni fa, sempre agli Arcimboldi. E sempre bruciando la vendita dei biglietti neanche fosse la reunion degli Oasis.

Uno di quegli eventi che hanno confermato come gli spettatori siano ormai disposti a seguire anche le grandi star internazionali della stand-up, in lingua inglese, con prezzi importanti. E infatti sempre in Bicocca sono passati fra gli altri il dark humor di Jimmy Carr e il Monty Python John Cleese.

Ma perché partire dai grandi maestri anglosassoni? Intanto perché da lì nasce un po’ tutto. Probabilmente anche il fraintendimento teorico. Visto che a furia di guardare speciali sulle piattaforme online, l’idea che ci si è fatti della stand-up è che tutti siano più o meno a livello di Ricky Gervais. In pratica Maradona.

Quando invece anche i club internazionali sono pieni di battute sulla suocera o cose simili. Visto che il comico in piedi da solo davanti al pubblico, quel microfono lo riempie poi come gli pare. E poi perché i grandi maestri danno la misura della febbre.

Una febbre sudata poi fuori con tantissime date dei talenti italiani: da Filippo Giardina fondatore di Satiriasi ad Angelo Duro, da Michela Giraud a Luca Ravenna, da Giorgio Montanini a Edoardo Ferrario, Paolo Camilli, Giorgia Fumo o Giuseppe Giacobazzi. Ma si potrebbe andare avanti per tipo due pagine.

I palchi a disposizione

Per vederli in città c’è l’imbarazzo della scelta. Manzoni, Arcimboldi e Lirico sono un po’ i punti di riferimento; qualcosa passa al Nazionale, al Carcano o perfino al Dal Verme, dove il 20 arriva Matt Rife. Ma fra gli altri si sono mossi pure Franco Parenti e Fontana, senza dimenticare l’Après-Coup o il buon vecchio Zelig di viale Monza.

Bello spazio si è ritagliato poi il Martinitt, il cui lavoro sulla comicità si sviluppa anche in estate con l’Arena Milano Est. Ma difficile tracciare una mappa precisa, a cui comunque si aggiungono circoli, festival e cantine. Perfino ostelli. Se si pensa che proprio da stasera comincia la Stand Up Comedy Week allo YellowSquare di Porta Romana.

Tutto bene dunque? Quasi. Al di là delle dispute semantiche e della naturale eterogeneità del fenomeno, l’impressione è che ci siano spinte piuttosto importanti per rendere sempre più mainstream e spensierato un genere che invece vive di furore, cattiveria, cinismo.

Speriamo quindi che la stand-up non si faccia addomesticare. I talenti ci sono. Ma c’è da resistere alla pigrizia di sedersi un attimo in poltrona. Perché di sit-down comedy è già pieno il mondo.