ENRICO CAMANZI
Cultura e Spettacoli

Milano, gli '80, le feste, l'antagonismo estetico. Formidabili quegli anni imperfetti

Stefano Ghittoni, musicista e dj, in "Milano OFF 1980/198X" ha raccolto decine di testimonianze su un momento di passaggio incredibilmente fecondo dal punto di vista culturale e musicale

Stefano Ghittoni, musicista e dj, ha coordinato la stesura di Milano OFF

Milano da bere, Milano da pere, Milano edonista, Milano socialista. Milano underground. La metropoli all’inizio degli anni ‘80 vive un momento di passaggio fra un’epoca e l’altra. Non è una frattura: alcuni protagonisti, idee, locali e culture del decennio precedente sono ancora sulla scena, magari dopo un quantomai necessario cambio d’abito. Insieme a loro agiscono nuove figure, pronte a prendersi la ribalta. In questo scenario magmatico e comunque fertilissimo di spunti e stimoli si muove un manipolo di “mutanti” che riscriveranno la storia della controcultura milanese. Delle loro testimonianze si compone il racconto collettivo “Milano OFF 1980/198X - Ritratto imperfetto di una città invisibile”. A coordinare il lavoro, uscito per i tipi di Milieu, e a farci da Virgilio in un viaggio nella Milano dei primi anni ‘80 è Stefano Ghittoni. Musicista (Peter Sellers and the Hollywood party e the Dining Rooms), dj, agitatore culturale. Uno che quegli anni li ha attraversati di corsa, da spettatore ma soprattutto da attore di un “film” caleidoscopico ed entusiasmante. 

Com’è nata l’idea del libro? “Ho voluto parlare di un periodo che sembrava invisibile, i primi anni ‘80 milanesi. Un momento di grande trasformazione, in cui l’onda lunga degli anni ‘70 si è sovrapposta agli effetti della ‘rivoluzione’ del punk e della new wave, con l’idea del ‘do it yourself’, l’essere proprietari delle proprie azioni ed emozioni. Insomma, ho voluto storicizzare un periodo che fu anche l’epoca della mia formazione culturale”

Che fotografia ci consegna della Milano sotterranea degli anni ‘80? “E’ un racconto collettivo che narra di una città popolata da personaggi vagamente mutanti, molti dei quali arrivavano dall’area della sinistra antagonista, ma intendevano superare il discorso dell’uniformità nel look e della collettivizzazione di scelte estetiche e culturali. In quegli anni  l’antagonismo politico didattico fu superato da una visione più creativa. Milano si popolò di queste nuove creature non catalogabili che si incontravano in locali e spazi all’aperto, magari perché erano vestite allo stesso modo. C’era, però, anche una grande contaminazione”.

Ossia? “Era un momento di passaggio. Per esempio nell’81, dopo aver già visto negli anni precedenti al Palalido Iggy Pop e Patti Smith a Bologna, ho assistito ai concerti organizzati al Vigorelli di Clash e Dire Straits, questi ultimi una band che non mi è mai piaciuta. Era un bel ‘mischione’. Ma quel periodo fu importante perché, grazie alla musica e alla voglia di stare insieme, permise a molti giovani di reagire alle tensioni provocate da crisi politica e lotta armata, così come ai lutti da imputare all’abuso di eroina”.

Dove ci si incontrava? “Paolo Rosa, il compianto fondatore di Studio Azzurro, nel documentario ‘Facce di festa’ afferma: ‘Ci incontravamo alle assemblee, a un certo punto abbiamo iniziato a trovarci alle feste’. Una dichiarazione che chiarisce questa continuità spuria fra anni ‘70 e 80. Molti degli eventi che popolarono le notti dei primi anni ‘80 si tennero in locali occupati dal movimento nel decennio precedente, come le case occupate di corso Garibaldi e di via Guerrazzi, il Vidicon di via Correggio che poi divenne il Virus, il centro sociale occupato dai punx”.

Il volume ci racconta anche qualcosa di Milano nel suo complesso? “Sì. Ha anche un valore urbanistico. Molti dei posti di cui si parla non ci sono più. Per esempio l’Odissea 2001. Fu la prima discoteca rock, grazie alla quale si sdoganò il ballo, prima visto come roba da fascisti. Altri locali, invece, come il Plastic, hanno cambiato sede”.

Milano, allora, si distingueva da altre città europee? “Milano, in questo periodo, nonostante fosse un ‘paesaccio’ in cui ci si conosceva un po’ tutti, fece il suo ingresso sulla mappa delle grandi città europee. Riuscì a stare al passo con i tempi e con quello che succedeva nelle altri capitali. Merito anche del punk che mise in contatto determinate situazioni e persone che avevano visitato città come Londra e Berlino, ‘importando’ a Milano stili, generi musicali e idee che, successivamente, venivano condivise e rielaborate nei club che avevano aperto in città”. 

La copertina del volume
La copertina del volume

Perché i primi anni ‘80 a Milano furono un periodo di grande fioritura delle controculture? “In primis perché allora c’era ancora una cultura dominante da combattere. Ma anche perché Milano, pur non avendo portato alla ribalta nazionale molte band, costruì intorno a gruppi ed eventi un movimento fecondissimo. In altre città non c’è stata la possibilità per esperienze underground di entrare nel tessuto culturale e produttivo. A Milano sì. Tanto è vero che quegli anni hanno permesso di ‘inventare’ tantissime nuove professioni”.

Che eredità ci lasciano le esperienze di cui si tratta nel libro? “Innanzitutto la domanda se ci sia ancora spazio per l’utopia e per la ricerca di un mondo migliore. E poi la conferma di quello che sosteneva Joe Strummer, il leader dei Clash, ovvero che il futuro non è mai scritto. Sta a noi capire come muoverci nei tempi che ci attendono”.

Quali testimonianze ci consegnano le persone che hanno contribuito al tuo lavoro? “In tutti i racconti emerge con chiarezza la visione di alcune persone che si contrapponevano allo status quo. Non sopportavano il lavoro salariato e ripetitivo che aveva segnato l’esistenza dei loro genitori. Da qui l’esigenza di ribellarsi, facendosi forza di una precarietà che era figlia delle pulsioni artistiche. Ancora prima che la società ci considerasse inutili, eravamo noi ad affermare con chiarezza che la società non ci serviva. Né come istituzione, né come industria”.

Come mai tanti fra i protagonisti della scena si sono fatti strada nell’economia immateriale? “C’era grande voglia di sperimentare, di scommettere sul futuro. Le persone che hanno partecipato al libro sono ancora profondamente in contatto con la realtà e le sue evoluzioni. Hanno voglia di guardare sempre avanti. Ed è questo, in fondo, il messaggio che questo volume vuole dare, accantonando ogni tentazione nostalgica”.

Quali sono i tre luoghi simbolo della Milano dei primi anni ‘80? “Tre soli? Difficilissimo”.

Proviamoci. “Citerei il cinema Porpora, una sala di periferia dove assistetti alla sonorizzazione del ‘Nosferatu’ di Murnau realizzata da Maurizio Marsico (musicista, compositore e produttore, ndr). Un ricordo pazzesco e un’esperienza fondamentale per il mio percorso. Elettronica e musica sperimentale ‘montate’ su questo film muto proiettato a mezzanotte: una cosa che non si era mai vista a Milano. Poi la mia prima volta al Vidicon, in via Correggio. Un posto che mi impressionò molto. Sembrava abbandonato e un po’ spettrale, fra luci al neon, frigoriferi e piastrelle bianche alle pareti. Lì, per esempio, vidi il concerto del Confusional Quartet. Ebbe vita breve, trasformandosi successivamente nella prima sede del Virus. Infine la discoteca Viridis, un locale che ospitò una serie di concerti e feste memorabili. Si trovava a San Giuliano Milanese, la cittadina dove abitavo allora. Era ospitata nei locali al piano rialzato di un caseggiato che si confondeva fra altri edifici analoghi. Inizialmente accolse feste organizzate alla domenica pomeriggio, poi inizò ad aprire anche la sera nei week-end, per soddisfare le esigenze del nuovo pubblico che aveva iniziato a frequentarla, la comunità di 'creature simili' al centro del mio racconto".

E i tre eventi che ricorda meglio? “Il primo concerto di Iggy Pop nel ‘79 al Palalido, di sicuro. Non ci ho capito molto, ma con il senno di poi sono contento di averlo visto quando avevo 17 anni. Poi il live dei Gang of Four all’Odissea 2001, il più bello a cui abbia mai assistito. Infine, anche per dare l’idea di quanti soldi giravano all’epoca nelle istituzioni a Milano, voglio ricordare il concerto gratuito di Siouxsie and the Banshees in Piazza Vetra nell’estate ‘82. Un evento simbolico per quel periodo, inserito nella rassegna Milano Suono, tutta gratis. Un concerto rimasto nella storia anche per motivi tragici, dato che un ragazzo perse la vita dopo essere stato investito da una scarica elettrica”.