
Stereophonics
Milano, 4 febbraio 2018 - «Ogni volta che pubblichiamo un nuovo disco cerchiamo di uscire dalla nostra comfort-zone», assicurano gli Stereophonics, in concerto domani sera al Fabrique. Nonostante il primo posto in classifica, nel ’97, del fortunatissimo album di debutto “Word gets around” la formazione del cantante chitarrista Kelly Jones ha sempre evitato il rischio di trasformarsi in una “heritage band” arroccata su posizioni di rendita. Il che, con ben sei album arrivati in vetta all’hit-parade inglese, sarebbe tutt’altro che inverosimile. Nati nel ’92 col nome Tragic Love Company nel villaggio di Cwmaman, Galles, gli Stereophonics contano ancora sulla chitarra di Kelly Jones e sul basso Richard Jones (nessuna parentela fra i due), oggi affiancati da Adam Zindani e Jamie Morrison a chitarra e batteria, entrati in formazione negli anni Duemila. Una venticinquina di pezzi in scaletta, attinti da tutta la loro epopea rock con particolare attenzione a “Scream above the sounds”, decimo album in studio uscito lo scorso autunno.
«Durante la gestazione del disco ci sono state la Brexit e le elezioni americane, ma io ho cercato di dare alle stampe lo stesso un lavoro molto ottimista, pieno di speranza, per lanciare un messaggio positivo sui nostri tempi - spiega il leader -. In vita mia ho vissuto molti alti e bassi e ho capito che, se riesci a risolvere i tuoi problemi, c’è una luce in fondo al tunnel. Credo che questa fiducia nel futuro sia il motivo per cui da qualche tempo gli Stereophonics hanno iniziato a rinnovare il proprio pubblico, ad avere un seguito più giovane ad allargare la propria base. Questo mi fa credere che siamo sulla strada giusta». Inneggiando a vivere una vita senza paura, “Caught by the wind” è un ruggito rock ispirato ai fatti del Bataclan. La band aveva suonato nel locale parigino una ventina di anni fa, ai tempi del primo album, e l’attacco terroristico del 2015 ha rappresentato così «la prima incursione di fatti del genere nel nostro mondo». Jones e compagni continuano, tuttavia, a tenersi lontani dalla cronaca. «Raccontiamo la vita delle persone, ma non abbiamo mai espresso punti di vista politici radicali perché la cosa può diventare pretenziosa, da predicatori, e penso che la gente meriti di più. Cosa potremmo mai dire su Theresa May o su Donald Trump che non sia già sulla carta o sui social in ogni istante? Negli anni Sessanta sarebbe stato diverso, allora, le canzoni avevano pure una funzione divulgativa. Così preferisco raccontare cose dalla mia prospettiva o da quella delle persone che conosco e che amo».