
Una delle opere in mostra
Milano, 16 dicembre 2018 - Non c'è questa volta volta Sharbat Gula, la fanciulla afghana dagli occhi magnetici che Steve McCurry ha reso una delle icone più amate di ogni tempo. E anche i colori delle immagini non sono così esplosivi come il celebre fotografo nato a Philadelphia nel 1950 ci ha abituati ad ammirare. Ma la nuova galleria con cui il Museo delle Culture di via Tortona inaugura il suo nuovo spazio espositivo, il Mudec Photo, dedicato appunto alla fotografia d’autore, è naturalmente una galleria splendida: perfetta per il primo progetto. Sono i colori naturali della terra quelli delle immagini scelte da McCurry insieme con Biba Giacchetti, curatrice storica delle mostre di un artista che unisce in sè coraggio, genio e sensibilità. Sono i colori degli “Animals”: loro i protagonisti dell’esposizione promossa da Comune, Mudec e 24Ore Cultura in collaborazione con Sudest57, in cartellone sino al 31 marzo 2019.
Steve McCurry, fotografie di animali: una deviazione o una tappa nel suo lavoro? «Non una parte centrale ma una sfaccettatura importante. Mi ha sempre affascinato il rapporto di correlazione che esiste fra l’uomo e gli animali, siano soggetti di divertimento, o di lavoro, o vittime di impieghi cattivi». Per un fotografo è più difficile lavorare con gli uomini o con gli animali? «Bambini e animali sono i soggetti più difficili. Se vedo un uomo camminare per strada, posso chiedergli di fermarsi. Ma a un bimbo, a un cane, a un elefante...». Come Sharbat Gula, anche i cammelli sono stati fondamentali nella sua carriera, meglio, nella sua vita: i cammelli della foto qui in mostra. “Sì. Kuwait, 1991, seicento pozzi di petrolio in fiamme. Un inferno. Mi appare una famiglia di cammelli in fila indiana. Anche loro neri come il petrolio. Li ho seguiti a piedi per un’ora, fra i campi minati, finché un’altra esplosione mi ha dato la luce giusta. Credo sia stata una delle esperienze più dure della mia vita professionale». Una mostra per adulti o per bambini? È stata una Children Jury ad assegnarle nel 1992 il primo World Press Photo dei quattro che ha vinto. «Una mostra per tutti. Certo, le letture saranno diverse». Già, un bambino trova sicuramente buffo il barboncino rosa di Hollywood. Ma comprende la tragedia dietro l’uccello coperto di petrolio? «Credo che no. Non capisce la tristezza, la disumanità di taluni trattamenti che l’uomo infligge agli animali. Vede un fiero cane Kuchi legato dietro a una bicicletta sgangherata. Lo trova bellissimo. Ma non sa che il suo padrone lo sta portando a combattere in una tragica lotta fra cani”. “Animals”, 60 foto, è l’anticipazione del suo prossimo libro, nel 2020. Quante immagini? «Non abbiamo ancora deciso. Ma sarà un grande libro». McCurry, quando ha scattato la sua ultima foto? «Un’ora e mezza fa. Qui al Mudec». Il prossimo lavoro? «Per ora vado a New York. Per Natale».