DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Tricarico: “Due figli, il matrimonio, il divorzio, mi sono defilato dal successo. Essere famosi è uno stress”

Intervista al cantautore di “Io sono Francesco”: “Paolo Rossi mi raccontava i casini che faceva in giro con Jannacci. Oggi Milano mi pare più chiusa. Dai ragazzi però arriva qualcosa, c’è chi non si lascia guidare dal mercato”

Francesco Maria Tricarico, 54 anni

Francesco Maria Tricarico, 54 anni

Milano – Buongiorno, buongiorno io sono Francesco…

Chi non la ricorda? Eppure sono già passati 25 anni. Meglio farci i conti. Riannodare fili. Magari aprire pure quei bauli di ricordi con su scritto: Non toccare! Mica facile. Ma è un po’ quello che succede in “Buonasera, io sono Tricarico”, giovedì al Filodrammatici. Data milanese di un tour teatrale dove le canzoni s’intrecciano a monologhi, appunti, frammenti. Storie di una vita libera. Da Pierrot Lunaire. In compagnia del pianoforte di Michele Fazio.

Tricarico, questa volta ha scelto una dimensione parecchio intima.

“Lo desideravo da tempo. Ripercorro cose personali, credo sia un modo per chiudere i conti con un lungo periodo raccontando il passato, indagando l’inconscio”.

Di che periodo sta parlando?

“L’ultimo mezzo secolo. La mia vita. Non solo quindi gli aspetti legati alla carriera, dopo “Io sono Francesco“ del 2000. Ma anche i 29 anni precedenti. Le ferite. La scoperta della musica, quando mi sono accorto che non mi interessava diventare strumentista dopo il Conservatorio ma che invece mi incuriosiva aggiungere la parola a quest’arte eccezionale. Una libertà che non ho trovato nemmeno nel jazz, solo nelle canzonette. Scoprirle è stata una grande fortuna”.

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Francesco Gabbani e Tricarico in duetto nell’ultima edizione del festival di Sanremo

Ne parla come qualcosa di terapeutico.

“Più spirituale che terapeutico, concetto troppo occidentale, legato alla psicanalisi. Sono affascinato dal mistero, se vuole anche dalla morte, che ho cantato per condividere un’assenza. La musica mi permette di aprire una finestra sull’imprevisto, l’insondabile, il magico”.

Territorio da indagare con la scrittura?

“Sì, anche. In modo dilettantesco. D’altronde dicono che all’inizio ci fosse la parola. Ma credo che la musica sia più potente, l’unione fra melodia e voce. Ieri parlavo con un amico di Psiche che alla fine non è altro che respiro, una voce fatta di aria, capace di arrivare al mondo”.

Lei vive un cortocircuito: indagare se stesso ma in continua comunicazione con gli altri.

“È l’opportunità di riagganciarmi alla vita, nel momento in cui mi creo un mondo parallelo. Non è un caso che arrivo ora a teatro a chiudere un percorso così intimo, di fronte al pubblico. E poi credo pretenziosamente che ci sia un tratto alchemico nella musica: permette che accadano cose”.

Come nel 2000...

“Il disco era concluso ma il produttore Mauro Tondini mi chiese un ultimo pezzo che mi presentasse. Raccontai così questo episodio che mi portavo dietro, si intuiva subito che la canzone era molto forte. Io però mi defilai da tutto quel successo, non lo cavalcai e feci in modo di interrompere certe dinamiche produttive e promozionali. Tuttavia ho ricordi belli. Devo tantissimo a quel primo disco. Avevo solo bisogno di un tempo per capire”.

Ci è riuscito?

“Sì, mentre intanto vivevo: due figli, il matrimonio, il divorzio. La musica ha sempre fatto in modo che potessi continuare a fidarmi di lei, è una compagna di viaggio, al mio fianco nell’invisibile. Come la scrittura, magari ironica, capace ancora di ridere”.

Ironica come “Mi state tutti immensamente e profondamente sul cazzo” dello scorso anno?

“Mi fa piacere che ne colga l’ironia. È caustica, rappresenta una parte di me. Forse coglie una certa criticità che si respira nell’aria”.

Cosa cambierebbe oggi?

“Quello che posso lo cambierò domani. Rispetto al passato va bene così. È un momento bello, ho un buon equilibrio fra vita, sogni, ricordi. Mi sento abbastanza sereno”.

Non sembra un tipo da Sanremo, eppure ci va spesso.

“Il mare è sempre bello”.

Risposta furbetta.

“No no, io amo il mare, ho un legame familiare con Gallipoli. Sanremo è un luogo ricco di sfumature, dove è ancora importante il palcoscenico e ne respiri la storia. Si ritrova poi un vero riscontro popolare, cosa che io amo nel profondo”.

Lucio Corsi voleva essere un duro, a lei bastava diventare famoso?

“Ne subisco lo stress ma ho sempre desiderato essere popolare. Già da bambino, ascoltando le canzoni alla radio”.

Milano le piace anche senza il mare?

“Forse si è un po’ persa. In passato mi sa che è stata più divertente, Paolo Rossi mi raccontava i casini che faceva in giro con Jannacci, gli anni del Derby e della Mala. Chissà. Oggi mi pare più chiusa. Dai ragazzi però sta arrivando qualcosa. C’è un bel fermento nella musica, nel teatro. Gente che non si lascia guidare dal mercato. Qualcosa si è visto anche a Sanremo”.