ELVIO GIUDICI
Cultura e Spettacoli

Turandot alla Scala: polemica sui lumini, ma l’omaggio a Puccini fa centro

Celebrati i 100 anni dalla morte compositore nato a Lucca. Ottima la direzione di Michele Gamba (subentrato all’ultimo minuto), super Anna Netrebko, grandiosa la regia di Davide Livermore

Un momento della Turandot messa in scena alla Scala

Un momento della Turandot messa in scena alla Scala

Milano, 27 giugno 2024 – Centenario della morte di Giacomo Puccini. La Scala inscena Turandot, il suo incompiuto testamento, e dopo la trenodia sulla morte di Liù (le ultime sue note) su di un grande disco sospeso dove finora erano scorsi liquidi colori, compaiono il volto di Puccini e la scritta "qui Giacomo Puccini morì": in platea, in silenzio, nei corridoi una sfilata di comparse con in mano un lumino a batteria, distribuito anche agli spettatori.

Celebrazione azzeccata

Due minuti di silenzio luminoso, poi la musica riprende col finale di Franco Alfano. E s’è sentito discutere solo dei lumini. Caduta di gusto? Gesto rispettosamente poetico celebrativo d’una ricorrenza? M’iscrivo al secondo gruppo, ma è questione squisitamente personale. Quello che davvero conta, a mio avviso, è che s’è celebrato Puccini nel migliore dei modi: con uno spettacolo memorabile. Michele Gamba, buttato allo sbaraglio per la defezione all’ultimo d’un direttore famoso (e il direttore musicale della Scala avrebbe dovuto scendere lui in buca, secondo me), ha stravinto la pericolosa partita dirigendo non bene ma benissimo: minuziosa cura del particolare inserita in un’architettura superbamente e teatralissimamente controllata.

Coro e cantante: che assi!

In palcoscenico, due assi pigliatutto: il migliore coro del mondo (non è sciocco sciovinismo meneghino ma solo nudo dato di fatto: per l’appassionato, sentire centodieci cantanti che “passano” di registro tutti assieme, potenza e sussurro alternati con aplomb fenomenale, è goduria orgasmica); e la migliore cantante dell’universo mondo. Anna Netrebko: timbro stupendo, tecnica fenomenale che all’amplissima linea vocale consente pianissimi evanescenti ma che purtuttavia saturano di suono la sala, e subito dopo Do acuti al fulmicotone, con fraseggi da suprema artista.

Benissimo Yusif Eyvazov, Rosa Feola e Vitalij Kowaljow, una chicca l’Altoum di Raul Gimenez, forse brave le tre maschere se solo si sentissero.

I dettagli di regia

Davide Livermore racconta e sceneggia da grande regista: particolari azzeccatissimi come Timur bonario e amato da tutti; il ragazzino in viola – colore solo della reggia – che suggerisce l’ultimo enigma a Calaf, proiezione quindi dell’intimo desiderio di Turandot; l’inquietante Pekino alla Sin City; la scena delle tre maschere in un club fetish anziché in una Gran Grulleria; magnifica gestualità che finalmente dà senso al difficile finale col bacio non a Turandot ma allo spettro dell’ava che l’ha condizionata; e soprattutto niente, proprio niente bric-à-brac folkloristico alla mercatino turistico. Puccini si celebra così: grande musica e grande teatro.