ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Vasco Rossi a San Siro tra canzoni riscoperte e nuova rabbia: “Rock duro e puro, spettacolo pieno di sorprese”

Intervista a 34 anni dal primo concerto al Meazza, il rocker a Milano con una scaletta inaspettata di 24 brani e un medley: “Nel 1990 fu un salto nel buio, mi ritrovai lo stadio pieno all’inverosimile. Pensai a divertirmi e farli divertire: sarà ancora così”

Milano – “San Siro era una scommessa” ammette Vasco Rossi col pensiero a quel debutto di 34 anni fa capace di ritagliare uno spazio alle sue “Ogni volta” e “Liberi... liberi” tra le gesta eroiche di Matthäus e van Basten. E oggi il Komandante ha aperto un nuovo capitolo della storia varando un nuovo giro di concerti che lo vede in scena pure l’11, il 12, il 15, il 19 e il 20 giugno. “Con i magnifici sette di quest’anno, i miei concerti al ‘Meazza’ diventano 36, vale a dire oltre 2 milioni e mezzo di persone. C’è di che essere orgogliosi”.

Vasco Rossi (72 anni)
Vasco Rossi (72 anni)

Come se lo ricorda quel 10 luglio 1990?

"Per i Mondiali di calcio del 1990 avevano aggiunto il terzo anello, così quando il mio manager organizzò il concerto, nessuno poteva sapere realmente quanti biglietti si sarebbero venduti, non c’erano le regole di capienza che ci sono oggi. Lo stadio era pieno all’inverosimile, più di 75.000 spettatori, una marea di gente che saltava e ballava. Un effetto e un affetto straordinari. Fu un record che anche la stampa dovette notare perché era la prima volta che un italiano batteva la concorrenza di stranieri del calibro di Madonna e i Rolling Stones. Quando mi sono ritrovato lì ho pensato solo al fatto che c’era tanta gente e quindi dovevo, come minimo, divertirmi e farli divertire. E poi non ho più pensato a niente. Il giorno dopo era già finito, perché è sempre così, il giorno dopo è tutto finito”.

Con che live si ripresenta al pubblico del Meazza?

“Uno spettacolo tutto nuovo con una scaletta inaspettata, io non amo ripetermi. Ci sono molte sorprese... È un concerto rock duro e puro. Senza sfumature di grigio, solo bianco e nero. E non fa sconti a nessuno. In scaletta 24 brani e un medley, che riassumono in pratica l’aria che tira oggi. L’anno scorso era un discorso dedicato al rapporto uomo-donna, mentre questa volta è una “social set list”, più incazzata, più dura perché questo è un periodo molto complicato e molto difficile. Siamo tutti preoccupati, speriamo vada bene. Ci sono dei brani che non facevo da tanti anni o addirittura eseguiti una sola volta, vedi la riscoperta di “Basta poco”, si fa presto a montarsi la testa. Il bello è che più canzoni che hanno oltre 40 anni come “Jenny” o “Bollicine” dialogano con quelle nuove perché mantengono ancora una loro attualità”.

Gli stadi sono tutti uguali o qualcuno è più uguale degli altri?

“Ci sono gli stadi pieni e quelli vuoti, anche. Ce ne sono di più o meno grandi, di più o meno nuovi. Quelli che hanno la pista intorno al prato come l’Olimpico a Roma e quelli no, come San Siro, che è molto particolare per il fatto che ti trovi davanti un muro di gente. In Italia non esistono grandi spazi dedicati alla musica, prendiamo in prestito gli stadi quando finisce il campionato, li adattiamo alle nostre esigenze e occupiamo anche il prato che si riempie di fan che saltano, ballano, si divertono. Ogni stadio per me rappresenta qualcosa, cambiano gli accenti e le dinamiche, ma l’importante è che lo stadio sia pieno. Allora lì davvero si sentono le emozioni, quando tutti cantano".

Stavolta i “Meazza” sono addirittura sette, uno in più del Non Stop Live 2019. Perché Vasco è in competizione solo con Vasco.

"Colpo grosso a San Siro: sette concerti sette di fila e tutti sold out! E avrebbero potuto essere anche di più. La richiesta c’era e io ero disposto a farne anche dieci, ma a quanto pare ci devono suonare pure altri... Per me vale sempre la regola di migliorare me stesso, come fanno gli atleti che cercano di battere i loro record personali. È molto più importante che essere ‘più’ di chiunque altro".

Un altro in competizione solo con sé stesso è Dylan, che però non esegue più i vecchi brani perché nella sfida col Bob di 40 anni fa uscirebbe sconfitto. Hai mai avuto lo stesso tipo di ansia?

"A me non è mai capitato con nessuna delle mie canzoni, anzi. Prima di arrivare alla scaletta perfetta, me le riascolto tutte per selezionarne una trentina che creino un discorso unico. Quando poi le canto devo tornare al momento in cui le ho scritte, rivivere le stesse emozioni. Le mie canzoni nascono come un diario intimo, parlo di me, ma quando le canto si trasformano in ‘noi’. Questa è la magia, mi accorgo che la gente prova le stesse cose che sento io, le hanno già dentro. Ecco perché dico sempre che i miei concerti sono un rito di comunione e liberazione".

A lei ci sono voluti 13 anni di concerti per arrivare a San Siro. Oggi ne possono bastare tre ben spesi. Il mondo dei concerti è cambiato?

“Certo, oggi è cambiato tutto. Pure il mondo. Io il mio pubblico io l’ho conquistato un po’ alla volta, con il passaparola. Chi veniva ai miei concerti si divertiva al punto da uscire convinto di aver visto lo spettacolo più bello al mondo. Così, da 100, gli spettatori sono diventati 1.000, poi 10.000 e poi 100.000. Allora ci si esibiva nelle discoteche e al massimo si arrivava ai palasport, gli stadi erano destinati solo agli stranieri. Ma nel ‘90 s’è invertito il trend e, grazie a ‘Fronte del palco’ ho fatto da apripista agli artisti italiani. Oggi bastano una canzone o due che funzionano in radio e un po’ di televisione per arrivare a suonare in uno stadio e dichiarare il sold out. Ma è nel tempo che si vedrà chi c’è per davvero e chi invece è una meteora".

Già, oggi c’è una spasmodica ricerca del tutto esaurito. E lei i suoi neppure li annuncia più “...perché tanto li fanno tutti”.

"Sold out oggi è una parola inflazionata, basta diminuire la capienza e, opplà, arriva il sold out. Ma io rimango sempre stupito nel vedere diventare spasmodica la ricerca dei biglietti per i miei concerti; tutte le volte mi sembra che accada una magia".