DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Vincenzo Schettini, un fisico bestiale: “Ragazzi attenti ai genitori iperprotettivi”

Docente, divulgatore e musicista: questa sera, giovedì 28 novembre, sarà all’Arcimboldi con il suo spettacolo dedicato a una scienza “che è una figata”

Vincenzo Schettini (Archivio)

Vincenzo Schettini (Archivio)

Milano, 28 novembre 2024 – Capelli per aria. Decolorati. Che pare il bassista di un gruppo punk. Il viso sorridente. E una passione viscerale per la scienza e i suoi misteri. Verrebbe da pensare che Vincenzo Schettini sia un professore tutto matto. Ma di folle c’è solo quel desiderio indomito di trasformare la fisica in una materia per tutti. Perfino divertente.

Come si scopre stasera, giovedì 28 novembre (ore 21), agli Arcimboldi con “La fisica che ci piace“, lezione show che nasce intorno al successo (gigante) del libro omonimo. Un viaggio nelle leggi dell’universo. Con il divulgatore più amato da social, radio, tv. Che nel frattempo la mattina continua a insegnare ai suoi ragazzi. A scuola.

Schettini, nei ricordi liceali la fisica non piaceva per niente.

“E invece è una grande figata, possiede un fascino incredibile ed è una sfida per quelle menti che si aprono alla curiosità, accettando di poter essere cambiate dalla conoscenza. Quello che continuo a fare è rendere potabile tutto questo, mostrare come possa essere accessibile per chiunque, anche per chi non ha avuto la fortuna di fare studi scientifici”.

Lo possiamo definire talento divulgativo?

“Sì ma i talenti vanno abbracciati. Non tutti riconoscono le proprie potenzialità, all’inizio sono acerbe, bisogna lavorarci, svilupparle. È un attimo sprecare tutto”.

Come la vedevano i ragazzi quando ha cominciato a scuola?

“Mi vedevano strano. Chiedevo a uno studente di riprendermi col cellulare, era tutto nuovo, però già si divertivano. Io usavo Facebook, sono stati loro a darmi qualche dritta e a consigliarmi di spostare il progetto su altre piattaforme. Mi hanno fatto una grande formazione gratuita”.

Lei alla loro età ne aveva due di talenti: la musica e la scienza.

“Una cosa che vivevo con grande disagio, era difficile far capire quanto amassi la fisica nonostante fossi iscritto al Conservatorio. Oggi è solo fonte di entusiasmo, anche perché credo che proprio sviluppando queste due anime, si sia composta la mia identità culturale. Un tratto che emerge con forza a teatro. Come quando ad esempio parlo delle onde, meccaniche e sonore, facendo fare esperimenti al pubblico. Un modo per sottolineare un concetto per me basilare”.

Prego.

“La conoscenza non si muove mai per compartimenti stagni, c’è uno scambio e se colleghi i vasi fra loro, ecco che si riempiono. Ma bisogna farsi accompagnare”.

Non tutti hanno avuto uno Schettini come professore.

“Perché la scuola applica un reclutamento freddo, attraverso iter in cui non c’è possibilità di selezionare figure brillanti, carismatiche. Un peccato perché il ruolo è delicatissimo, specie di fronte a questo mondo così vuoto e grigio”.

Come sono invece i ragazzi?

“Spugne iperstimolate dalla realtà. E questo vuol dire che assorbono di tutto. Alcuni aspetti sono positivi, come il fatto di essere molto più aperti alle diversità rispetto al passato. Nonostante ci sia sempre qualche brutto episodio di discriminazione, in realtà i ragazzi non guardano nemmeno con chi vai mano nella mano. Di negativo però c’è ad esempio la non capacità di concentrarsi per più di 30 secondi. Aspetto molto grave. A cui si aggiunge un problema di guide”.

Di genitori?

“Già. Ai nostri tempi se facevi qualcosa di scorretto nel migliore dei casi ti prendevi una sgridata, nel peggiore tiravano fuori il battipanni. Oggi si assiste a una iperprotezione dei figli che si sentono più o meno liberi di fare tutto. Che può essere bello. Ma arrivati a vent’anni cosa riusciranno a fare se non hanno mai dovuto sfruttare nulla di loro stessi? Mi sembrano vivere sotto una velina, non imparano a cadere e a mettersi il cerotto”.

Suo padre lavorava all’Olivetti.

“Era la Silicon Valley italiana, nei tempi d’oro c’era una cura speciale per i dipendenti, qualcosa che si respirava in famiglia. Papà portava stampanti e computer da aggiustare a casa, noi lo studiavamo. Da lui ho preso quel 30% che mi appartiene di curiosità e razionalità scientifica”.

Manca un buon 70%.

“Quello è tutto di mamma: un fiume in piena”.

Tornando alla fisica, qual è il suo teorema del cuore?

“La legge fondamentale della dinamica, o secondo principio, che racconta come i nostri corpi siano oggetti su cui agiscono delle forze esterne e a seconda del rapporto che abbiamo con queste forze, si crea un’accelerazione. È un messaggio bellissimo. Che si confronta anche con il concetto di inerzia e con la necessità di trovare in noi la forza di volontà per agire”.

La leva per sollevare il mondo.

“Sì ma senza dimenticare che qualsiasi volontà ha bisogno di lavoro per concretizzarsi. Possiedo una irrequietezza di fondo che nasce da questo continuo bisogno di sviluppare idee e di pensare avanti. Che poi vuol dire anche osservare e mettersi in ascolto. Alla fine tutto è nato dal percepire un’esigenza: i ragazzi faticavano con la fisica. E ora forse le cose sono un po’ diverse”.