Milano, 9 dicembre 2020 - Questo articolo è contenuto nella newsletter "Buongiorno Milano". Ogni giorno alle 7, dal lunedì al venerdì, gli iscritti alla community del «Giorno» riceveranno una newsletter dedicata alla città di Milano. Per la prima volta i lettori potranno scegliere un prodotto completo, che offre un’informazione dettagliata, arricchita da tanti contenuti personalizzati: oltre alle notizie locali, una guida sempre aggiornata per vivere in maniera nuova la propria città, consigli di lettura e il commento di un ospite. Per ricevere via mail la newsletter clicca su www.ilgiorno.it/
Dedicato a tutti gli amanti del prog. Religione laica che pare avere ancora migiaia di (vivacissimi) adepti. Pronti ad adorare maestri assoluti del calibro di Vittorio Nocenzi, fondatore del Banco del Mutuo Soccorso. In questo caso però si parla di sua figlia Viola. Cresciuta a pane e assoli di tastiere. Qui al debutto discografico.
Confessioni in musica di “una ragazza tutta rock e d’altri tempi”. Col placet di papà Vittorio e la produzione di zio Gianni, Viola Nocenzi pubblica il suo primo album con tutto l’orgoglio del sentirsi erede della dinastia regnante del prog italiano. Quella incoronata dal venerato nome del Banco del Mutuo Soccorso. Se il fratello Michelangelo è tra gli artefici di “Transiberiana”, ultima sfida artistica del Banco, lei debutta mettendo nome e cognome su 7 brani, tra cui il singolo “Lettera da Marte”. «Le definirei 7 schegge, 7 reincarnazioni, 7 vite, 7 parti di me, 7 pozioni magiche e anche 7 viaggi» assicura l’Erede, nata ai Castelli Romani ma residente da tempo a Como, dove si divide tra composizione, concerti e mestiere di vocal coach. «Ho iniziato con la musica ascoltando da bambina i dischi di Tori Amos e la musica del Banco, di cui rimango la prima fan. Ora vivo sul lago, ma per lavoro orbito molto pure su Milano, Bergamo e Lugano». - Quando ha sentito il bisogno di raccogliere il suo lavoro in un disco? «La lunga collaborazione con lo scrittore Alessio Pracanica mi ha portato a mettere da parte 50-60 brani. Alcuni mi piacevano davvero tanto e così ho iniziato a confrontarmi con famiglia e discografici per capire cosa fare; la conclusione è stata che non c’era alcun motivo per non farli ascoltare». - Papà cosa ha detto? «Non si è espresso. Ha aspettato di sentire il lavoro finito e per la prima volta gli ho letto negli occhi grande attenzione per un mio lavoro, alla fine un gran sorriso mi ha fatto capire che era fatta». - E tra le braccia di un altro (ex) membro del Banco, lo zio Gianni, come c’è finita? «Lui è sempre stato un riferimento affettivo molto importante. Così, stimandone tantissimo le capacità tecnico-artistiche, quando ho deciso di fare sul serio, è stata la prima persona a venirmi in mente. I suoni del disco li devo a Gianni e allo Zoo di Berlino». - Quanto le è servita la laurea in filosofia del linguaggio in quello che fa? «Tantissimo. Papà possiede una bella biblioteca e a soli 14 anni sorpresi mia madre, professoressa di lettere e latino, dicendole che avevo divorato "Così parlò Zarathustra" in pochi giorni. Nonostante a scuola andassi così così, infatti, i filosofi sono sempre stati una mia passione».