ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Il Vaffa-sfogo degli Zen Circus

A Eataly Smeraldo presentata l’autobiografia del gruppo pisano

Zen Circus

Milano, 10 settembre 2019 - Uno spartiacque. Tra ciò che lo Zen Circus era e ciò che sarebbe diventato grazie anche a quell’album del 2009 dal titolo evocativo, inequivocabile, diretto: “Andate tutti affanculo”. Sfogo forse non molto Zen, ma chiaro al punto da essere adottato anche per intitolare l’autobiografia romanzata del gruppo pisano, presentata ieri notte all’Eataly Smeraldo con l’intervento di Dente, nell’attesa di debuttare oggi in libreria e di tornare in città il 17 novembre al Dal Verme. A parlarne è il bassista Massimiliano “Ufo” Schiavelli, contitolare del prezioso marchio assieme ad Andrea Appino, chitarra, e Karim Qqru, batteria.

Niente di agiografico...

«Assolutamente no. Ci piace definire questo libro un’anti-biografia, perché la nostra storia diventa il pretesto per parlare d’altro, del Paese, della generazione a cui apparteniamo. Di fatto abbiamo prestato la nostra storia ad un narratore, Marco Amerighi, per trasformarla in un romanzo di formazione in cui potessero rispecchiarsi in tanti. Un po’ come le canzoni, che parlano di noi, ma solo fino ad un certo punto… ecco, penso che questo volume andrebbe interpretato proprio come una nostra nuova, lunghissima, canzone».

Il titolo non è proprio originalissimo.

«Beh, fa sempre la sua figura e poi si adatta bene al decennale di quello che rimane uno dei nostri dischi più fortunati, che segnò per lo Zen Circus un cambio di passo e di linguaggio. Tant’è che il volume racconta la storia dei primi anni, quelli più pioneristici, e s’interrompe proprio quando decidiamo di incidere ‘Andate tutti affanculo’. Come se quanto accaduto dopo rappresenti nella nostra vicenda umana e artistica quel ‘e vissero tutti felici e contenti…’ che chiude i racconti a lieto fine».

Il grosso del pubblico vi ha conosciuti, però, quest’anno grazie a Sanremo. Letterariamente parlando, cos’è stato per voi il Festival, un horror o un thriller?

«Un capitolo di ‘Barry Lyndon’, per l’attitudine a trasformarsi in un luogo dove puoi ritrovarti sommerso o salvato per ragioni che sfuggono a qualsiasi controllo. Come disse Manuel Agnelli a proposito della partecipazione degli Afterhours, siamo andati per portare su quel palco un po’ di decadenza, ma ci siamo trovati di gran lunga superati».

Nella mitologia del Festival, la gloria arride a chi arriva primo o ultimo. Da questo punto di vista come giudicate il vostro 17° posto?

«Il nostro sogno era quello di arrivare ultimi e vincere il Premio della Critica. Abbiamo fallito entrambi gli obiettivi, ritrovandoci in un limbo che lascia il tempo che trova. Finire davanti a Nek, che è un gran professionista molto simpatico, è stata un’ingiustizia vera. Ma quest’ultimo è stato un Festival che ha rimescolato le carte e diverse certezze».

Ora cosa vi accadrà?

«Ci piacerebbe che la storia raccontata in ‘Andate tutti affanculo’ fosse trattata e rappresentata anche in altri modi rispetto al libro (film? fumetti? vallo a sapere – ndr). Continuiamo a lavorare e, visto che ormai ci abbiamo preso gusto, magari torniamo pure a Sanremo o, perché no, facciamo un disco rap. Di sicuro non vi libererete tanto facilmente di noi».