ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Zucchero e il brivido di San Siro: “Un’overdose di ritmo e fantasia”

Il cantautore emiliano torna al Meazza con una super band: "Tecnologia? Il fattore umano resta fondamentale"

Zucchero

Zucchero

Milano – San Siro, 16 anni dopo. Zucchero torna domani tra gli spalti del Meazza con le voglie autocelebrative di un Overdose D’Amore World Wild Tour che ricorre alle sedie in campo per regalare il brivido dello stadio a uno spettacolo concepito per altri spazi. Quello portato ad debutto in Australia lo scorso autunno e sbarcato a Pasqua in questa parte di mondo tre mesi fa nella cornice della Royal Albert Hall. In scena, oltre al bassista-direttore artistico Polo Jones, le chitarre di Mario Schilirò e Kat Dyson, le tastiere di Nicola Peruch, l’hammond di Peter Vettese, la ritmica di due batteristi, Adriano Molinari e Monica Mz Carter, i fiati di Lazaro Amauri Oviedo Dilout, Carlos Minoso, e, al sax, James Thompson. Ai cori la sinuosa Oma Jali.

«L’affiatamento della band è dato anche dalla lunga frequentazione" ammette. "Jones e Thompson sono con me praticamente da sempre, Schilirò da una venticinquina d’anni". Sono passati ormai cinque anni dalla pubblicazione dell’ultimo album d’inediti “D.O.C.”, il funky gallo di “Con le mani” e “Donne” ("la canzone che iniziò a farmi conoscere in radio, fosse stato per le giurie del Festival di Sanremo sarebbe andata peggio visto che mi piazzarono penultimo") rimane una scelta sicura per tutti quelli che in Italia vogliano ascoltare buona musica. "Nel modo in cui io vedo il live, il musicista è importante" dice il “Cappellaio matto dalla voce di cuoio” come lo definì nel ’90 la stampa inglese in occasione dei primi concerti oltre Manica, mantenendo il riserbo sulla probabile presenza di ospiti. "È come quando si registrano dei dischi: se non hai l’essere umano a suonare lo strumento, non hai dinamica, non hai colori, è tutto molto flat. Le due batterie, ad esempio, le ho sempre usate perché sono a incastro, una non fa la stessa cosa che fa l’altra. Una è il motore, l’altra è fantasia. Per me il ritmo è fondamentale".

Concetti ribaditi pure nel docufilm “Zucchero - Sugar Fornaciari” arrivato lo scorso anno a raccontarlo con i contributi di Bono, Brian May, Andrea Bocelli, Francesco Guccini, Sting, Francesco De Gregori e diversi altri ancora. "Ho vissuto i primi anni in un paese della bassa emiliana, Roncocesi: 700 persone" racconta “Delmo”, 68 anni, sullo schermo. "Ero protetto, imparavo dai vecchi, vivevo nel piccolo mondo di Guareschi. A 11 anni la mia famiglia si è trasferita. Mio padre ‘voltava’ il formaggio: era un lavoro pericoloso e non guadagnava nulla. Mi ritrovai a Forte dei Marmi. Non c’entravo nulla e ne ho sofferto. Lì vivevano di apparenza e non di sostanza, io ero abituato al contrario. Alla Versilia devo più che altro una cosa: un jukebox. È grazie a lui che ho scoperto il rhythm and blues: Wilson Pickett, Marvin Gaye, Otis Redding, Aretha Franklin. Se fossi rimasto in Emilia, probabilmente sarei rimasto al cantautorato e al rock".