
OFFERTE I pezzi sotto i 500 euro sono il punto forte del salone
Milano, 20 marzo 2015 - Ogni anno che passa è un segno più: più visitatori, più opere vendute, più gallerie. Succede all’Affordable art fair, la fiera internazionale dell’arte a buon mercato, giunta alla quinta edizione milanese. Una sorta di Ikea di pittura, scultura e fotografia. Qui il prezzo è low cost, all’ingresso una parete è tappezzata di opere sotto i 500 euro. Contro i cinque, sei zeri su cui viaggia il mercato tradizionale. In un’Italia in cui l’arte è tornata a essere un bene di altissimo livello per via del tracollo dei budget del ceto medio, con conseguente crisi del circuito delle gallerie e delle case d’aste, la formula «discount» ha riaperto i portafogli. Anche di chi non si sarebbe mai aspettato di comprare qualcosa solo perché è bello: «Un quinto dei nostri compratori sono al loro primo acquisto di opere d’arte», spiega la direttrice del salone italiano, Nina Stricker. Risultato: lo scorso anno Affordable art fair Milano ha chiuso con un milione di euro di vendite e 805 opere scambiate. «E quest’anno dovremmo mantenerci sulla stessa linea», pronostica la direttrice della fiera, aperta fino a domenica al Superstudio più di Milano con 95 espositori (di cui il 70% italiani).
Anche gli imprenditori dell’arte stanno cambiando pelle. Prendiamo il settore delle case d’aste. Mentre le grandi sorelle, Sotheby’s e Christie’s, hanno ormai ridotto all’osso il calendario in Italia e le minori si dibattono con incanti in cui spesso più della metà dei pezzi resta invenduta, a Milano è stata bandita la prima asta a base zero. L’idea è dell’omonima società (Basezero) di Saronno. «La prima asta è andata bene, ora ne abbiamo in calendario altre tre», spiega Francesco Palermo, uno dei tre fondatori. Al debutto in catalogo c’erano 250 opere e l’85% di queste è stato venduto a suon di rilanci di 50 euro. «Agli artisti non chiediamo nulla, se non di rischiare con noi», spiega Palermo.
Anche internet ha allargato la platea di potenziali acquirenti, tanto che la galleria Deodato di Milano ha persino sperimentato la vendita in bitcoin, il conio del web. «Noi vendiamo ogni giorno in rete», spiega il titolare, Deodato Salafia. «La crisi? Ha azzerato il mercato fino a 20mila euro – osserva –, ma da settembre dello scorso anno si è attenuata, siamo tornati ai livelli del 2010-11. È cambiata la fiducia della gente». «È vero che il segmento medio ha sofferto di più, ma la sensazione è che sia una ripresa nel mercato dell’arte», commenta Riccardo Sorani. La sua stessa galleria, la Esh di Milano – che tratta ceramica, vetro e metallo – è figlia di questo nuovo vento nel settore della vendita ai cosiddetti «first time buyers», acquirenti alla prima prova: «Ho aperto a fine novembre».
Al netto della ripresina del mercato interno, gallerie e case d’aste italiane guardano all’export. Tuttavia, per gli operatori, i compratori stranieri si trovano davanti due barriere. La prima è l’alta tassazione sull’arte, leggi Iva. Chi vince la resistenza iniziale, deve poi fare i conti con dazi doganali e controlli sull’antiriciclaggio. «Sono procedure complicate che spaventano gli stranieri – spiega Marta Menegon, dello Spazio San Giorgio –. Inoltre, o scarichiamo questi costi sull’acquirente o dobbiamo coprirli noi». Per questo gli organizzatori di Affordable si sono inventati un programma di scambio tra gallerie: chi espone nel proprio Paese può accedere anche a un’edizione in un’altra nazione. Si parte dalla rotta Milano-Amsterdam, mentre quest’anno la fiera allarga il circuito e sbarca per la prima volta a Seoul.
luca.zorloni@ilgiorno.net
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